Interpretare il pianto dei neonati: la guida dei pediatri
Il pianto è la principale forma di comunicazione del neonato: bisogna imparare ad ascoltarlo perché varia per timbro, intensità e durata a seconda che sia scatenato da fame, dolore o bisogno di coccole
Il pianto è la principale forma di comunicazione del neonato, un vero e proprio linguaggio con cui il bambino esprime emozioni e sentimenti, richiama l’attenzione, chiede nutrimento, protezione, aiuto e conforto. Ma come interpretare le diverse esigenze comunicate con il pianto? Per aiutare i genitori a comprendere i figli appena nati i pediatri dell’ospedale Bambino Gesù di Rome hanno messo a punto una piccola guida con alcuni consigli.
L’ATTESA
Il primo impulso quando si sente un bimbo piangere è intervenire immediatamente. Il consiglio dei pediatri è invece quello di attendere alcuni istanti per cercare di capirne le motivazioni. L’istinto sarebbe far cessare subito il pianto, magari con il ciuccio. “Ma il neonato ha bisogno di sviluppare la sua “voce”, di esprimersi e comunicare fin dai primi giorni di vita”, scrivono i pediatri sul sito del Bambin Gesù ricordando che le ragioni per cui il bambino piange possono essere diverse, e ciascuna ha bisogno di una risposta adeguata da parte del genitore, oltre alla consolazione.
Il piccolo bimbo può piangere perché ha fame, ha il pannolino sporco, perché ha caldo o freddo o perché alcuni rumori lo infastidiscono oppure perché sente dolore. Anche lo stati d’ansia o di nervosismo dei familiari possono scatenare il pianto dei bambini.
OGNI PIANTO HA IL SUO PERCHE’: COME RICONOSCERLI
Ascoltando le caratteristiche del pianto quali timbro, intensità e durata, si possono ricavare tante informazioni.
Il pianto da fame (o sete): a bassa intensità all’inizio diventa via via più forte e ritmico.
Il pianto da dolore: intenso, forte fin dall’inizio e prolungato nel tempo con, a seguire, una fase di silenzio e presenza di singhiozzi alternati a brevi inspirazioni.
Il pianto da collera: simile al pianto da fame, ma con tonalità più bassa ed intensità costante.
Il pianto da colichette: dalla seconda, terza settimana di vita il bimbo può avvertire delle colichette gassose. In questi casi il pianto, che si ripete per lo più agli stessi orari (quelli pomeridiani o serali), è riconoscibile perché incessante, non smette nemmeno se il bambino viene preso in braccio e coccolato.
Inoltre si tratta di un pianto accompagnato da agitazione delle braccia e delle gambe che il bambino piega e distende in tutte le direzioni, da inarcamento della schiena e, a volte, da rasserenamento improvviso allorché l’aria fuoriesce dal sederino.
Per placarlo si può massaggiare delicatamente il pancino, tenendo il piccolo appoggiato in posizione prona sull’avambraccio e cullarlo con movimenti ripetitivi. Se allattato al seno, è consigliabile rivalutare la posizione mantenuta durante la poppata per evitare che ingerisca una eccessiva quantità di aria. Anche escludere alcuni alimenti dalla dieta della mamma può aiutare: ad esempio il latte di mucca ed i derivati del latte stesso.
In genere queste colichette si esauriscono alla fine del primo trimestre di vita.
Il pianto per necessità di coccole: se il pianto non nasce da qualcosa che provoca dolore, fastidio, fame o sete probabilmente deriva dalla necessità di vicinanza, contatto e attenzione da parte dei genitori. Può accadere anche quando il bimbo è stanco.
Sarà facile verificarlo facendo sentire la propria presenza senza paura di esagerare e di viziarlo. Nel tempo, il sentirsi vicini avverrà non soltanto attraverso il contatto fisico, ma anche e soprattutto attraverso la vista e l’ascolto della voce (soprattutto della mamma e del papà).
Il pianto inconsolabile: le preoccupazioni insorgono quando un bambino, di solito tranquillo, piange forte e a lungo senza un motivo evidente (inclusa l’ansia dei genitori). In tali casi è consigliabile consultare il pediatra curante per individuare cause possibili di fastidio o dolore.
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