Quando Gallarate accolse a Cedrate i veneti profughi del Polesine

Per lo più mamme e bimbi, in fuga dalle terre colpite dall'esondazione del Po. Furono accolti per alcuni mesi a Villa Calderara, anche grazie a una grande mobilitazione di solidarietà

Villa Calderara rinnovata

Nel novembre 1951 la città di Gallarate, ferita dai danni dell’alluvione che aveva colpito la zona, aprì le porte ai profughi che arrivavano dal Polesine inondato: persone che avevano perso tutto quando le acque del Po travolsero le case, devastarono la campagna, uccisero bestiame e persone.

Anche se nello stesso periodo la città dei due galli era alle prese con i danni provocati dall’Arno, da subito ci fu attenzione al dramma che viveva il Polesine, allora una delle zone più povere dell’Italia del Nord. I primi profughi furono accolti in città dal 20 novembre.

L’emergenza e l’accoglienza a Cedrate

Il quotidiano La Prealpina racconta che per la prima notte furono accolti all’ospedale civico, al Convitto Carminati a Cascinetta, in casa di singole famiglie. Prealpina citava in particolare l’impegno della consigliera comunale Ines Orsini, che si occupò dei primi quaranta bimbi arrivati, e del personale dell’ospedale guidato dal prof. Sironi.

I profughi furono poi trasferiti alla Colonia Elioterapica, vale a dire alla grande villa Calderara, che una ricca famiglia aveva donato al Comune, sulla collina sopra Cedrate. In città si attivò anche una rete di solidarietà per dare un po’ di stabilità a persone – soprattutto i bambini – che erano state sradicate dalla loro terra.

A distanza di due mesi faceva un primo bilancio il bollettino della parrocchia di San Giorgio di Cedrate: «Sono arrivati tra noi in 86 e vennero sistemati nei locali della Colonia Elioterapica», appunto la Villa Calderara sulla collina, al confine con Cassano Magnago. «Sono quasi tutte mamme coi loro figli. Provengono dal Polesine e precisamente da Villadose, Bosaro, Sant’Apollinare, Pezzoli, Mardimago, Cavarzere, Borsea e Lama».

Alluvione Polesine 1951
L’articolo di Prealpina del 20 novembre 1951 che annunciava l’arrivo dei piccoli profughi a Gallarate

Ovviamente l’accoglienza coinvolse molte altre località della provincia: già nei primi giorni a Busto giunsero ad esempio oltre duecento sfollati.
Nelle pagine del bollettino di Cedrate a gennaio 1952, c’era un po’ di orgoglio per quanto fatto: «Se tutti i profughi ebbero una buona assistenza, quelli di Cedrate l’ebbero distinta. L’aria salubre, il cibo abbondante li ha fatti aumentare di peso. I piccoli vanno all’asilo o alle scuole elementari e medie, le signorine frequentano la scuola di cucito, le altre attendono alla pulizia, a lavori personali o aiutano il re dei cuochi Sig. Francesco Roggiani».

Villa Calderara Gallarate
Villa Calderara oggi

Anche la zona di Gallarate, poi, divenne invece terra di emigrazione stabile, prima con i capifamiglia o i figli maggiori, poi con il resto della famiglia che si ricongiungeva dopo qualche mese o anno.

La solidarietà per il Polesine a Gallarate

Fin da subito la rete di solidarietà si attivò sul piano organizzativo – coordinata dal sindaco di allora – mentre le organizzazioni cattoliche raccoglievano coperte e materiale al Fajetto, la casa parrocchiale accanto alla Basilica.
Partì una raccolta fondi, libere e con iniziative organizzate: già sul finire di novembre a Santa Maria del Cerro (Cassano Magnago) «la filodrammatica locale ha replicato l’operetta “Una gara in montagna”, a favore degli alluvionati».

A dicembre 1951 il Bollettino parrocchiale di Cedrate faceva un primo bilancio della raccolta locale: «Il parroco ha consegnato alla Pontificia Commissione di Assistenza per gli alluvionati del Veneto un camion di indumennti e 68.500 lire in contanti». Altri due quintali e cibarie erano stati portati direttamente su in collina agli sfollati di Villa Calderara.

La villa comunale oggi è gestita da Exodus: dopo aver ospitato anche i rifugiati africani in fuga dalla guerra di Libia, è usata per iniziative sociali e culturali.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 13 Novembre 2021
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