Nelle imprese del Varesotto si segna anche il Ramadan sul calendario
Così come le festività dell'est o orientali. Questo perché sono oltre 74mila i lavoratori stranieri impiegati nelle piccole e medie imprese del territorio. Un docufilm di Confartigianato racconta questa realtà
Si chiamano Abdul, Mohamed, Mustafa, Andrei, Pasha, Dorel e vengono da Sudan, Marocco, Ghana, Polonia, Romania, Pakistan, Egitto, Ucraina – l’elenco potrebbe essere molto più lungo – in cerca di lavoro e di un futuro migliore. In provincia di Varese sono 74203 e rappresentano l‘8,4% della popolazione totale, leggermente inferiore alla media italiana (8,5), e il 12,5 % degli occupati.
Le imprese gestite da stranieri sono 6653, con un contributo aggiunto generato complessivamente in Italia di 134 miliardi di euro pari al 9% del totale.
È dunque una presenza significativa che impatta sulla vita economica e sociale del Paese, un fenomeno a cui Confartigianato imprese Varese ha dedicato un docufilm dal titolo “Gli stranieri e le pmi“.
Quella degli stranieri in Italia è una presenza necessaria che soddisfa una domanda di manodopera che si fa fatica a trovare tra gli italiani. All’inizio riguardava mansioni e lavori che nessuno voleva fare più, oggi invece si tratta di posizioni e funzioni diverse dove sono richieste competenze e una specifica formazione in tema di transizione digitale e green.
GLI STRANIERI NON SONO QUI PER RUBARCI IL LAVORO
«Sfatiamo un luogo comune: gli stranieri non sono qui per rubarci il lavoro – dice Davide Galli presidente di Confartigianato imprese Varese -. Detto questo, ci sono aspetti postivi e aspetti negativi. Se parliamo di formazione e competenze in un mondo che sta innovando sulla transizione digitale e tecnologica, l’ostacolo maggiore è quello linguistico, soprattutto per gli stranieri di prima generazione».
L’associazione di via Milano sta puntando a un’integrazione formativa, ma chiede anche un maggiore supporto su questo fronte dalle istituzioni. In effetti, il lavoro inteso come un diritto di cittadinanza richiederebbe l’intervento di più enti. È interessante inoltre notare che esiste una specializzazione di settore a seconda del paese di provenienza: i pakistani sono abili nella metalmeccanica, i nordafricani e i rumeni nelle costruzioni, gli egiziani nella ristorazione e nei servizi e quelli provenienti dall’est Europa nei trasporti. Confartigianato si sta spendendo molto sul fronte dell’integrazione di questi lavoratori, accogliendo le richieste delle imprese e facendo molta formazione grazie a Versione Beta la piattaforma di e-learning di Confartigianato ArtSer.
GLI STRANIERI HANNO FAME
«Gli stranieri hanno fame – dice Galli – nel senso che puntano a migliorare la loro condizione di lavoro e quindi di vita. Assistiamo sempre di più a un fenomeno di autoimprenditorialità interessante, soprattutto nei servizi e nel settore costruzioni, molto meno nella manifattura che richiede maggiori investimenti».
«Portano nuova linfa – aggiunge Andrea Venegoni, direttore del Centro sullo Sviluppo dei Territori e dei Settori della Liuc Business School – e volontà di mettersi in gioco che negli ultimi anni era venuta un pò meno e che potrebbe innescare un meccanismo virtuoso di crescita e sviluppo imprenditoriale».
L’INTEGRAZIONE RIGUARDA LA VITA INTERA
L’integrazione non è però solo funzionale al lavoro e all’inserimento in un’impresa, ma coinvolge molti altri aspetti della vita. «Questi lavoratori spesso sono soli – sottolinea Galli – e vivono in contesti in cui spesso non è facile relazionarsi se non con i propri colleghi di lavoro. Non esiste solo la dimensione del lavoro e si confrontano come tutti noi con i problemi della vita. Pensiamo a quando devono essere ospedalizzati o devono affrontare una malattia, in questi casi la solitudine pesa moltissimo».
Dice un’artigiana protagonista del docufilm: «Hanno una gran voglia di imparare e di restare in azienda. Per loro quando si entra in azienda, si entra in famiglia. E la famiglia è per sempre»
Dal docufilm si evince un aspetto interessante. Quasi tutti gli imprenditori intervistati evidenziano l’importanza del fattore umano e del legame che si crea con questi lavoratori. Determinanti sono dunque i percorsi di welfare messi in campo dalle imprese e al tempo stesso le sensibilità presenti in azienda che non sono mai così scontate, soprattutto quando si parla di culture profondamente differenti dalla nostra. Lo stesso Galli nella sua azienda metalmeccanica ha diversi lavoratori stranieri. «Sapere quando cade il Ramadan è importante se hai dipendenti di fede musulmana – spiega l’imprenditore -. Così come garantire, quando viene richiesto, il momento di preghiera».
Sono tutti aspetti che non fanno parte del lavoro e che al tempo stesso vanno governati con lungimiranza in quanto attinenti al diritto di cittadinanza.
«Quando partono per le vacanze estive quelli originari di paesi lontani, il ritorno è sempre un’incognita. Non sai mai se rientreranno nei tempi stabiliti» sottolinea con un sorriso Galli.
Ma forse anche questo aspetto rientra nel rischio che si prende l’imprenditore.
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