Due anni e 4 mesi in appello per l’educatrice di Gavirate accusata dei maltrattamenti ai bimbi
Tutto partì dalla denuncia di alcuni genitori che trovavano strani i comportamenti dei bambini prima di andare all'asilo. vennero avvisati i carabinieri che posizionarono videocamere. La decisione della prima sezione penale dei giudici milanesi

Da tre anni e 4 mesi in abbreviato di fronte al gip di Varese a 2 anni e 4 mesi in appello: così i giudici milanesi hanno deciso per i reati che vedono imputata Maria Antonella Petullo, educatrice e responsabile del nido privato “Imparare è un gioco”, 35 anni, arrestata nella primavera del 20118 con l’accusa di maltrattamenti ai danni dei giovani ospiti della struttura.
Si tratta di una quarantina di episodi documentati che vedono imputata anche una collaboratrice della struttura le cui sorti processuali sono separate da quelle della responsabile (l’altra imputata verrà giudicata con rito ordinario, la prossima udienza è prevista a febbraio).
Sedici sono i bambini coinvolti in questa vicenda, dai pochi mesi di età a quattro anni, e 32 le parti civili che hanno chiesto di essere rappresentate in appello (erano la metà in primo grado).
Tutto partì dalla denuncia di alcuni genitori che trovavano strani i comportamenti dei bambini prima di andare all’asilo. Vennero avvisati i carabinieri di Besozzo che posizionarono videocamere con rilevamento di voci ambiente nell’asilo privato che si trova in piano centro a Gavirate: gli episodi documentati furono decine e le immagini portarono alla luce un campionario di atteggiamenti che provarono – così scrivono i giudici della Prima sezione penale della Corte d’Appello di Milano – «che l’imputata nel periodo osservato si rese responsabile nei confronti di bambini affidati alle sue cure di condotte incompatibili con le sue mansioni e affatto inadeguate, talvolta anche violente, che, rapportate all’età dei minori, e per la loro frequenza quotidiana, erano certamente fonte per questi ultimi di sofferenza fisica e – soprattutto – morale».
A nulla sono valsi i motivi di appello che sono stati impugnati dal difensore, l’avvocato Antonio Battaglia; tra gli altri, lo stato di stress vissuto dalla donna e la richiesta di riqualificazione del reato in “abuso di strumenti di correzione e disciplina“ (quello contestato, in piena presunzione d’innocenza, rimane invece “Maltrattamenti contro familiari o conviventi“, 572 cp).
Dal canto loro le difese di parte civile non si fermeranno all’ultima decisione in sede penale: «Proseguiremo in civile sulla base della sentenza di primo grado che era esecutiva ma non definitiva», ha spiegato l’avvocato Fiorella Fidanza.
Circa le motivazioni dell’abbassamento di pena i giudici milanesi hanno invocato una eccessiva applicazione della pena per il reato irrogata dai colleghi di Varese.
Le indagini, e il processo hanno avuto una vasta eco mediatica perché innescarono un dibattito circa l’utilizzo di videocamere di sorveglianza in case di riposo o ambienti dove vengono ospitati minori, come scuole dell’infanzia e asili nido.
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