Il Jrc di Ispra smantella il reattore. Cattaneo: “Riapriamo il dibattito sul nucleare”
L'assessore regionale all'Ambiente ha visitato il reattore Essor del Centro di ricerca europeo. "Se si vuole decarbonizzare la produzione di energia, rinunciare ideologicamente al nucleare è un controsenso"
Gli abitanti di Ispra lo chiamano ancora “l’atomica“, anche se il reattore nucleare presente nel Centro di ricerca europeo, entrato in funzione nel 1968, è spento da quasi quarant’anni, precisamente dal luglio del 1983.
A vederlo da fuori, il reattore Essor ricorda il Pantheon spogliato di ogni bellezza. Una struttura circolare in cemento armato di quarantacinque metri di diametro, per un’altezza di trenta e una parte interrata di quindici. Lì c’è ancora il nocciolo dove avveniva la fissione nucleare. Lo si può osservare molto bene dall’alto perché al posto del tappo che chiudeva il reattore è stata inserita una copertura trasparente, come si fa nei siti archeologici per permettere ai visitatori di vedere cosa c’è sotto il pavimento.
Nella struttura tutto è rimasto come allora. Nella sala controllo i vari pannelli sono spenti, fatta eccezione per tre, tuttora attivi: energia elettrica, allarmi e ventilazione forzata per mantenere la pressione interna inferiore a quella esterna ed evitare che in caso di incidente nucleare venga rilasciato materiale radioattivo. Il protocollo di sicurezza per accedere alla struttura è naturalmente rigidissimo e i sessanta ingegneri e i duecento contractor che vi lavorano, tutti dotati di rilevatori personali di radiazioni, lo osservano in modo scrupoloso.
UN PICCOLO NOCCIOLO NUCLEARE
Il nocciolo del reattore nucleare è un quadrato con un lato di un metro e mezzo. Minuscolo se paragonato alla grandezza dell’edificio che lo ospita. Una dimensione necessaria per permettere agli scienziati di fare sperimentazioni in condizioni reali di reazione. Lì si testavano combustibili e materiali di raffreddamento innovativi. «Il nocciolo ha raggiunto al massimo i 50 gradi – spiega l’ingegner Paolo Peerani, responsabile del sito – per una potenza generata di 25 megawatt. Insomma, poco più di un grosso scaldabagno perché il nostro fine era la ricerca e non la produzione di energia».
Fin quando è rimasto in funzione ha bruciato circa 20 kg di uranio, l’equivalente di 20mila tonnellate di gasolio, se si pensa che con un grammo di uranio si produce la stessa energia di una tonnellata di combustibile liquido. Non c’è dunque gara tra le due soluzioni: una reazione di fissione è 200 milioni di volte più potente di una reazione di combustione.
IL SIGNIFICATO POLITICO DEL PROGETTO
Il reattore nucleare di Ispra nasce perché l’Europa voleva sviluppare una filiera tutta propria di reattori, cioè diversi da quelli americani, inglesi e canadesi. «Cercava di essere indipendente dal punto di vista tecnologico – spiega il responsabile del sito – e per farlo ha puntato la ricerca e la sperimentazione su un liquido refrigerante organico che però fallì perché non consentiva un corretto funzionamento del reattore».
Si trattava dunque di un progetto che era diretta emanazione di un trattato europeo con lo scopo di controllare ed evitare la proliferazione del nucleare militare. L’obiettivo, dopo una disastrosa guerra mondiale, era mantenere una pace duratura nel Vecchio Continente.
“BISOGNA RIPENSARE IL NUCLEARE”
La presenza dell’assessore all’Ambiente e al clima di Regione Lombardia, Raffaele Cattaneo, in visita all’isola nucleare Essor, riapre una questione importante e di stretta attualità, che l’assessore ha posto direttamente ai ricercatori del Jrc e ai giornalisti presenti: «Se si vuole decarbonizzare la produzione di energia, il nucleare non produce un grammo di C02. Nel momento in cui si vuole contrastare il cambiamento climatico pensare di rinunciare completamente e ideologicamente al nucleare e alla ricerca sulla fusione, è un controsenso. Sicuramente dobbiamo incentivare la produzione di energie rinnovabili ma anche riaprire il dibattito sull’uso del nucleare».
DAL REATTORE AL PRATO VERDE
La procedura di disattivazione definitiva dell’impianto nucleare è un processo graduale che durerà circa 20 anni sotto la supervisione dell’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare) e il controllo delle autorità locali. Si inizia con l’allontanamento dei materiali nucleari, per poi passare allo smantellamento e alla rimozione dei sistemi e delle infrastrutture. Successivamente, dopo la rimozione della radioattività residua e le indagini finali, il processo si conclude con il rilascio del sito in una condizione di totale assenza di rilevanza radiologica, definita tecnicamente “green field“, cioè prato verde.
Se tutto andrà per il verso giusto le operazioni termineranno nel 2040. Se invece ci saranno intoppi, come spesso accade in Italia, bisogna prevedere qualche anno in più, almeno fino al 2050.
La grande incognita è rappresentata dalla mancata realizzazione del deposito finale per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi e la soluzione sembra ancora lontana. L’area dove poter realizzare l’infrastruttura non è stata ancora individuata.
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