La presenza di animali di compagnia e in particolare di gatti in condominio
Secondo la legge, il regolamento condominiale non può vietare il possesso e la presenza di animali domestici e di compagnia all’interno dell’abitazione
Gli animali sono parte integrante della famiglia come testimoniano tutti coloro che hanno un pelosetto che si aggira per casa. Sono i nostri amici più fedeli e la loro presenza aiuta ad affrontare solitudine e stress. Non è un caso che negli ultimi anni l’energia positiva degli animali è diventata uno strumento terapeutico utilizzato anche nelle case di cura, dove la pet therapy viene utilizzata per risollevare il morale del paziente e per aiutare anche il recupero dopo un periodo di malattia.
Ma cosa succede quando ci si trova a vivere in condominio e il nostro animale di compagnia si trova a convivere con tutti gli altri condomini? Come viene gestita questa convivenza soprattutto se ci sono persone che non amano gli animali?
Innanzitutto occorre dire che chiunque abbia un animale domestico conosce perfettamente le difficoltà nel gestire la sua presenza in appartamento. Nel corso degli anni si sono susseguite dispute e battaglie legali, vere e proprie “guerriglie” tra condomini ma il legislatiore con l’art. 16 della L. 220/2012 ha introdotto nuove regole che aiutano la convivenza in armonia e tranquillità.
La norma dispone che il regolamento condominiale non può vietare il possesso e la presenza di animali domestici e di compagnia all’interno dell’abitazione, norma che, ex art.1138 cc. 5°co. non può essere aggirata dai condomini nemmeno all’unanimità. Con la Legge Brambilla, poi, è stato riconosciuto all’animale domestico la qualifica di essere senziente e in quanto tale è condomino.
Ma questa ratio è applicabile solo ai cani oppure anche ai gatti?
I gatti vivono da sempre con noi, li ospitiamo nelle nostre case, trascorriamo ore intere in loro compagnia e quando pensiamo al gatto ci viene subito in mente un sonnacchioso “inquilino” a quattro zampe impegnato a ronfare sulla migliore poltrona di casa o al randagio, magro e guardingo, nascosto tra gli edifici urbani quasi ad esserne “condomino”. Ma vale lo stesso “benevole” discorso se in condominio si ha la presenza di colonie feline?
Ebbene sì! Ma nel rispetto di quanto statuito dall’art. 1102 cc. 1°co., secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso. Laddove questa “scomoda” presenza dovesse arrecare disturbo o danno alla vita dei condomini l’assemblea o lo stesso amministratore potranno intervenire con apposite norme che tutelino sia gli interessi degli animali sia quelli della salute e dell’ordine della vita condominiale. Diversamente, è possibile chiedere l’intervento del Sindaco il quale valuterà l’opportunità o meno di emanare provvedimenti specifici, provvedimenti impugnabili dinanzi al Tar competente territorialmente. E in caso di danni chi è ritenuto responsabile?
Occorre un distinguo tra gatti domestici e quelli randagi sebbene la responsabilità ricada nel primo caso sui padroni, nel secondo caso da coloro che se prendono cura naturalmente deve esse provato il nesso causale tra danno e comportamento del felino. Precisando, altresì, l’obbligo del risarcimento danno da fatto illecito è previsto dall’art. 2043 cc. secondo cui qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Vi è di più, ai sensi e per gli effetti dell’art. 844 cc. i condomini-proprietari devono adottare tutte le misure necessarie per garantire che il loro animale non crei problemi, ad esempio di tipo igienico o per la quiete e la sicurezza degli altri condomini e di altri animali.
Il gatto che riesce a sgattaiolare viene da pensare che possa essere considerato uno stalker di condominio, sembra impossibile, ma una sentenza piuttosto recente della Corte di Cassazione ha stabilito che una donna, continuando a lasciare uscire i suoi gatti nonostante le ripetute lamentele della vicina, ha commesso il reato di «stalking condominiale» (Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 25097/2019).
I gatti, privi di controllo, erano soliti sporcare e comportarsi in un modo che recava grande disagio alla condomina dirimpettaia. I giudici hanno appurato che la proprietaria aveva “volontariamente continuato a liberare i gatti nelle parti comuni dell’edificio, nella evidente consapevolezza delle conseguenze sul piano igienico che ciò comportava e della molestia che in tal modo arrecava alla propria vicina di casa”. Hanno, quindi, confermato il reato di atti persecutori, appunto perché era stata esclusa la semplice incuria nella custodia. E’ questo un caso limite, ma dimostra quanto sia necessario rispettare sia la natura degli animali sia la tranquillità delle altre persone.
E della presenza, quindi, di una gattara all’interno di una compagine condominiale?
La legge tutela la presenza di colonie feline, stabilendo che i gatti non possono essere allontanati se non per motivi legati alla loro stessa incolumità o per gravi motivazioni sanitarie, in ipotesi la decisione spetta al Comune, d’intesa con il servizio veterinario pubblico competente.
L’accudimento della colonia è considerato legittimo, così come lo è la collocazione di piccoli ricoveri in uno spazio comune del condominio, sempre nel rispetto delle norme igieniche e del decoro dell’ambiente.
In conclusione la libertà dei gatti va rispettata e tutelata ma nel rispetto della salute pubblica e come nel film “La carica dei 101” disse Piggy a Pongo, quando stanchi e impauriti rientrano a casa con gli altri cuccioli di Dalmata sottratti ad un vile destino “Non serve sempre essere capiti. A volte basta essere abbracciati…”
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