La parità tra uomini e donne nei luoghi di lavoro è ancora lontana. I dati in uno studio della Fiom Cgil di Varese
La Fiom ha analizzato i dati di 51 aziende metalmeccaniche della provincia di di Varese valutando elementi come le retribuzioni, la composizione della forza lavoro, gli orari e la formazione. I risultati evidenziano una netta disparità di condizioni tra lavoratrici e lavoratori
Meno occupate, meno pagate, meno formate e meno premiate. Ci sono solo “meno” davanti alla voce “donne” nei dati analizzati dalla Fiom Cgil di Varese per verificare lo stato della parità di genere nell’industria metalmeccanica della provincia.
I risultati di questa analisi sono stati presentati questa mattina dal segretario generale della Fiom Cgil Nino Cartosio e da Gaia Angelo componente della segreteria Fiom con una delega alle politiche sulla parità di genere.
Il lavoro fatto si basa sui dati contenuti nei “Rapporti periodici sulla situazione del personale maschile e femminile” che ogni due anni le aziende con più di 50 dipendenti devono presentare all’Ispettorato del lavoro secondo quanto previsto dal Codice sulle pari opportunità introdotto nel 2006. Sono stati presi in considerazione 48 rapporti relativi al 2021 di altrettante imprese varesine del settore metalmeccanico, più i tre delle principali aziende nazionali presenti sul territorio: Bticino, Leonardo e Whirlpool, analizzate però a parte, sia per la presenza di numerosi siti produttivi fuori provincia, sia per il peso numerico dei dipendenti complessivi.
«L’analisi ha preso in considerazione elementi come le retribuzioni, la composizione della forza lavoro, gli orari, la formazione – ha spiegato Gaia Angelo – Non si è trattato di una mera raccolta di dati ma abbiamo cercato di estrarre una fotografia di quella che è la situazione di donne e uomini in questo settore in provincia di Varese. Abbiamo poi sintetizzato i risultati in 10 punti chiave che sottolineano gli elementi più importanti su cui lavorare».
Nelle 48 aziende metalmeccaniche analizzate le donne sono poco meno del 23% degli occupati (il 19% nei tre gruppi Bticino, Leonardo e Whirlpool). L’occupazione con contratti precari (tempo determinato e somministrati) non presenta un disallineamento di genere, ma di qualifica: è infatti il 15% tra gli operai e il 3,5% tra gli impiegati (rispettivamente il 9,5% e l’1,5% nei grandi gruppi).
Ad essere fortemente polarizzato per genere è invece il part time che riguarda il 16% delle donne occupate nelle aziende analizzate (12% nei gruppi) e l’1% degli uomini (0,3%). Chiara polarizzazione di genere anche nell’uso dei congedi di maternità/paternità e parentali: le donne che li usano sono il 4,5% circa delle occupate, gli uomini l’1,4% (nei gruppi rispettivamente 2,5% e 1%): «Le donne si ritrovano spesso a rinunciare a una fetta di lavoro pagato per sostituirla con il lavoro di cura, lavoro non pagato, di cui ancora sono le quasi esclusive destinatarie».
Anche sugli straordinari la distinzione di genere è netta: lo straordinario è limitato e prevalentemente maschile: 63 ore annue pro capite gli uomini e 22 le donne (rispettivamente 56 e 30 nei gruppi).
Molto marcato il dato sui salari che dice chiaramente che le donne sono pagate meno degli uomini. Le differenze diminuiscono tra chi ricopre un ruolo direttivo – 5% tra i dirigenti e 19% tra i quadri – e salgono al 23% tra gli impiegati e al 22,5% tra gli operai. Nei tre gruppi nazionali le differenze retributive tra uomini e donne sono meno marcate in tutte le qualifiche (17% tra gli operai, 9% per gli impiegati e 8% per i quadri) tranne che per i dirigenti (11%).
Le retribuzioni medie lorde annue ammontano a 28.000 euro per gli operai, 40.000 per gli impiegati, 71.000 per i quadri e 136.000 per i dirigenti. Nei gruppi nazionali le retribuzioni sono più alte per tutte le qualifiche tranne che per i quadri. Oltre la metà degli addetti (quasi i due terzi nei gruppi) è quindi inquadrata in qualifiche con retribuzioni medie superiori a 40.000 euro annui lordi. Tra le componenti accessorie del salario spiccano i superminimi individuali, oggetto di erogazioni unilaterali delle imprese: circa 6.000 euro lordi annui medi pro capite.
Anche in questo caso la differenza di genere è rilevante: i superminimi individuali sono molto diversificati tra donne e uomini (il rapporto è del 53% a sfavore delle prime) e tra operai e impiegati (26,4% a sfavore dei primi). Insieme alla forte caratterizzazione femminile del part time, la distribuzione unilaterale del salario da parte delle aziende risulta uno dei motivi principali del differenziale di paga sfavorevole alle donne.
Infine per quanto riguarda la formazione, anche questa appare fortemente diversificata tra uomini (13 ore annue pro capite) e donne (circa 8 ore) e tra grandi gruppi nazionali e altre imprese. Nei gruppi le ore di formazione annue pro capite sono infatti 32 per gli uomini e 20 per le donne.
«Il lavoro sui dati, complesso e articolato, è stato fatto su un campione non esaustivo ma molto significativo, che comprende quasi 19mila addetti, il 40% circa degli addetti del settore metalmeccanico in provincia di Varese – ha precisato il segretario Nino Cartosio – I risultati di questa analisi sono molto importanti perché da una parte smontano una serie di semplificazioni molto ideologiche, ci dimostrano come meritocrazia e parità di genere non sono allineate ed evidenziano anche il ruolo fondamentale della contrattazione mediata dal sindacato, che, a differenza di quella gestita direttamente dall’azienda ad esempio attraverso i superminimi che spesso diventano strumento di potere, garantisce aumenti salariali uguali per tutti, uomini e donne».
«La fotografia emersa da questo lavoro di analisi evidenzia come la disparità di genere sui luoghi di lavoro sia un tema estremamente attuale e con molte implicazioni – ha detto in conclusione Gaia Angelo – E soprattutto che la lotta contro la disparità di genere deve essere portata avanti da tutti, uomini e donne perché il benessere, anche economico, delle donne contribuisce al benessere generale. E’ sempre più evidente che non si tratta solo di migliorare i servizi di welfare ma che è necessario un cambiamento soprattutto culturale, che non deleghi il lavoro di cura solo alle donne».
Qui i risultati dell’analisi fatta dalla Fiom Cgil di Varese
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