Tragedia di Monteviasco, le difese puntano sulla mancanza di “nesso di causalità“
Ultima udienza prima della sentenza prevista per il primo di dicembre, dopo le eventuali repliche dell’accusa
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Due impiegati che stanno al lavoro a Milano possono avere responsabilità sulla condotta del manutentore di una funivia che compie degli atti di ispezione proibiti dalle regole? Il punto – invocato dal legale di due dei nove imputati per la morte di Silvano Della oramai 5anni fa, imputati dell’allora “Ustif”, l’organo periferico del Ministero dei trasporti che si occupava della sicurezza degli impianti a fune – è solo uno degli elementi che l’avvocato Mussato ha invocato questa mattina, sabato, per chiedere l’assoluzione con formula piena dei suoi due assistiti.
Ma il nesso di causalità mancante è solo uno degli elementi ricordati dal legale (« ci sono cento motivi per assolvere, non uno soltanto») in un clima piuttosto vivace legato alla metrica dialettica scelta, vale a dire quella che vuole, anche col tono della voce, confutare le deliberazioni dei tecnici e consulenti dell’accusa: l’impianto non aveva particolari anomalie secondo il difensore, tanto che alcuni dettagli tecnici invocati per la tesi contraria, come la questione del terrazzino di ispezione mobile, paiono gli stessi adottati per la messa in sicurezza dell’impianto (ancora fermo, e pronto per la ripartenza dopo l’individuazione di un gestore).
Nell’arringa, che difende da richieste di pena per omicidio colposo, è stato ricordato anche quanto già ripercorso nelle precedenti udienze anche dai difensori degli altri imputati, vale a dire un comportamento non corretto, addirittura definito «fuori legge» del manutentore che avrebbe svolto attività di controllo della funivia fuori dalla cabina scendendo a valle imbracato (imbracatura che gli sarà fatale per le dinamiche meccaniche che produssero la morte per asfissia), e per giunta in assenza dell’operatore di valle, mandato a casa per la pausa pranzo: «Se ci fosse stato, quell’operatore congedato dallo stesso Dellea, avrebbe certamente potuto premere il grosso pulsante rosso per il blocco dei macchinari, e forse la povera vittima oggi sarebbe ancora viva». Da qui l’assoluzione con formula pie a richiesta che va a sommarsi a quelle delle altre parti in sede difensiva, posizione in netto conflitto con le richiese dell’accusa di condanne complessive per un totale di anni 23.
La parola al giudice monocratico Marcello Buffa che pronuncerà la sentenza il prossimo primo dicembre.
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