Anna Bernardini: “Sono stati 18 anni meravigliosi e l’atmosfera di Villa Panza mi mancherà”
La direttrice della villa di Biumo a Varese dal 2006 lascia l'incarico per collaborare con l'assessorato alla cultura di Regione Lombardia. "Amo quel posto e dico grazie a chi ha creduto in me e alla famiglia Panza per la fiducia"
“Per interpretare il futuro e vivere il presente bisogna conoscere il passato” era una delle frasi che il conte Panza amava ripetere. Concetti che affondano le radici nell’antichità e che Anna Bernardini ha imparato a valorizzare da quando 18 anni fa entrò a Villa Panza scelta dal Fai come direttrice. Cinquantacinque anni, laureata in storia dell’arte con una tesi sul Seicento lombardo ha guidato fino a pochi giorni fa “una villa settecentesca che spalanca le finestre su un magnifico giardino all’italiana e ospita una collezione di arte contemporanea americana tra le più conosciute al mondo, oltre a mostre di respiro internazionale” come recita la presentazione del sito ufficiale.
Che ricordi ha del primo giorno a Villa Panza?
«Ogni luogo viene visto dai nostri occhi e quello che sanno leggere dipende dalla formazione, dalla propria sensibilità. La mia prima parte di vita era focalizzata sull’arte antica e quella conoscevo. A Biumo era tutto rovesciato perché Villa Panza aveva un’altra storia. C’è stato stupore, ma anche senso di responsabilità. C’erano visitatori che erano esperti della capacità pionieristica e avanguardista, ma insieme a loro arrivavano persone che non erano abituate a quel linguaggio artistico. È stata una sfida importante, ma anche una esperienza faticosa. Ho condiviso il lavoro con il conte Panza e con il comitato dei garanti per trovare chiavi e dialoghi per incontrare la sensibilità in senso trasversale».
Come è stato l’incontro con Panza?
«L’incontro con Giuseppe e Giovanna Panza ha segnato la mia professione e anche la mia vita. Avevano valori forti, ma anche rispetto e fiducia per aiutare la Fondazione a fare sviluppo».
Che evoluzione ha avuto in questi anni Villa Panza?
«Si voleva valorizzare quel luogo, ma anche trovare dialoghi con gli artisti contemporanei. In questi anni ho chiamato e invitato grandi maestri come Wim Wenders, James Turrell, Robert Irwin, Robert Wilson. Loro hanno rispettato l’identità di quel luogo portando la loro energia pur non facendo parte della “scuderia Panza”. Un tema importante come un filo rosso è l’immersione dove stili ed epoche diverse ti fanno entrare nell’esperienza artistica che tocca tutti i nostri sensi. Una ricerca con diversi artisti sul tema dell’ambiente. Entrare in questo e non avere solo un’opera, ma costruire un’armonia che tocca la nostra percezioni. Gli artisti hanno lavorato su questi temi e la mia idea come direttrice era proprio moltiplicare il valore del carattere originario del luogo».
IL VIDEO: Alla scoperta di Villa Panza dove arte, natura e architettura si fondono
Villa Panza è sempre stata caratterizzata da una dimensione internazionale. Che relazioni ci sono state in chiave artistica?
«Ho lavorato per rinsaldare le reti e le sinergie con le realtà internazionali come il Museo Guggenheim, il Getty Research Institute, il Lacma di Los Angeles, l’Albright-Knox Art Gallery di Buffalo. Questo insieme con ambienti nazionali come il Mart di Rovereto o il castello Sforzesco».
Cosa resta a Villa Panza dopo la sua direzione?
«Racconti ed esperienze attraverso le mostre ma anche una serie importanti di opere permanenti che vanno ad integrare la collezione e che hanno modificato il patrimonio e la morfologia della villa. Pensiamo al cono d’acqua di Meg Webster, la casa per Giuseppe Panza di Wilson, il Ground zero di Wim Wenders e tanto altro».
Qual è la cosa che le ha dato più soddisfazione?
«La fiducia e il rapporto importante con la famiglia Panza. La seconda cosa i confronti e i dialoghi con i grandi maestri con cui ho collaborato. La più grande quella di riportare Turell ed Irwin che sono stati grandi maestri dell’arte contemporanea e che non si parlavano più. Sono tornati a Villa Panza dopo quarant’anni con una mostra straordinaria e lasciando opere. Non era riuscito nessuno ed è stata una grande soddisfazione».
Il più grande rammarico?
«Non saprei rispondere perché sono stati 18 anni meravigliosi».
Come è stata la relazione tra Varese e la villa?
«Ho fatto il mio meglio per far sentire questo luogo parte di Varese e conosciuto dai varesini. Un lavoro lungo, ma che ha dato tante soddisfazioni»
Cosa le mancherà di tutto questo?
«Voglio un gran bene a Villa Panza. Ci ho passato una parte importante della mia vita e mi ha dato sempre un grande equilibrio ed armonia. C’è una bellezza che mi aiutava nell’ideazione, progettazione e creatività. Un’atmosfera meravigliosa che mi mancherà. Ora devo spostare la mia attenzione e idee su altro».
Progetti futuri?
«Sto collaborando con l’assessorato alla cultura di Regione Lombardia ed è interessante avere uno sguardo trasversale sul grande patrimonio lombardo. Questo mi sta dando degli stimoli non solo di conoscenza ma anche utili per valorizzare questi luoghi».
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