L‘ essenzialità di tutelare l’agricoltura nostrana
4 Marzo 2024
Gentile redazione,
parliamoci chiaro, l’agricoltura è una componente essenziale e strategica di ogni stato così come lo è per l’Unione Europea intesa come connessione di stati solidali tra loro. Praticamente nessuno dei personaggi che si sono espressi sui vari media in occasione delle recenti proteste avviate dagli agricoltori di tutta Europa (sostanzialmente solo giornalisti e qualche politico, tutti dimostratisi assolutamente incompetenti) ha saputo dichiarare con chiarezza ed in primissima istanza quelli che sono i due elementi cardine che determinano l’indispensabilità per un paese sovrano di avere e mantenere vitale un’agricoltura nazionale.
In primo luogo la necessità assoluta di garantire autonomamente il soddisfacimento del minimo fabbisogno alimentare dei propri cittadini. Capacità, per quanto ci riguarda, che verrebbe via via a mancare con la progressiva scomparsa delle moltissime aziende agricole italiane oggi costrette a vendere i loro prodotti senza alcun profitto se non addirittura sotto costo. Motivo, questo, principalmente denunciato dai molti imprenditori agricoli che in queste ultime settimane si sono mobilitati in svariate regioni. Accanto a questa principale esigenza, ma assolutamente da non porre in secondo piano, la funzione, sempre indispensabile, fornita dall’agricoltura, di garantire il presidio del territorio, dalle pianure alle colline ed ancor più salendo in montagna. Sembrerebbe puerile affermare come uno stato debba garantire un’adeguata auto produzione alimentare per sostenere la domanda primaria della propria popolazione in contrapposizione ad una completa dipendenza dall’estero, se non altro perché assecondando la seconda ipotesi si troverebbe sottoposto ad ogni genere di ricatto ed angheria da parte dei propri fornitori. Pare, tuttavia, che questa elementare considerazione non sia affatto scontata visto che nessuno l’ha mai affermata con inequivocabile logica lucidità. La capacità di produrre gli alimenti necessari a sostenere la popolazione tramite l’autonomia delle propria agricoltura è un elemento strategico irrinunciabile da garantire costi quel che costi ribadendo, insieme, il ruolo essenziale dell’agricoltura nella gestione dell’ambiente.
Non esistono, in un paese normale, economia di mercato ne alcun altro motivo politico – economico che possano mettere in discussione questo principio sacro santo. Certo, in una logica di sviluppo mondiale che voglia, come è doveroso che sia, far crescere le aree più povere del pianeta portando quei popoli ad elevarsi ad una condizione socio – economica dignitosa, non è pensabile ne giusto sbarrare il proprio mercato ai prodotti alimentari provenienti da quelle terre ma a condizione che la produzione agricola nazionale, e con essa la conservazione del territorio, rimanga certa. A garanzia di questa scelta politica essenziale andranno messe, pertanto, in campo (locuzione quanto mai adatta) quelle risorse economiche affinché vengano compensati, ai nostri agricoltori, quei differenziali di costo per lo più derivanti dallo sfruttamento esasperato di uomini e donne trattati quasi come schiavi e da tecniche di coltivazione ormai non più compatibili con un ambiente sano e vivibile da assicurare senza se e senza ma ad ogni latitudine del pianeta.
L’accertata maggiore qualità dei prodotti nostrani insieme alla tipicità di varietà coltivate e razze allevate non è infatti sufficiente a superare la competitività di prodotti venduti a prezzi spesso inferiori ai costi di produzione delle nostre imprese agricole medie anche perché quei prodotti di alta gamma, se non di nicchia, sono per lo più accessibili alle classi più abbienti, se non alla sempre più ristretta cerchia dei ricchi, mentre le persone comuni sono costrette a scegliere in base al prezzo più concorrenziale. Anche la vendita diretta dei prodotti in cascina, nel casale, in masseria o la valorizzazione in azienda tramite la consolidata affermazione degli agriturismi (nonostante la burocrazia asfissiante, ugualmente contestata anche a livello europeo) pur avendo offerto delle occasioni concrete di recupero di quella redditività minima essenziale per giustificare la vitalità dell’impresa agricola non sono sufficienti a tutelarci dalla perdita di realtà agrarie cui non possiamo in ogni caso rinunciare.
Troppi i sacrifici personali, gli ingenti investimenti, con i conseguenti debiti da onorare, sulle spalle di aziende impegnate nel variegato settore zootecnico o nella molteplicità delle coltivazioni per pretendere che esse sopravvivano senza una adeguata remunerazione o, peggio, soccombano in nome di un mercato che da solo riesce unicamente a fare del deserto dietro di sé (non solo metaforicamente), mentre pochi personaggi si arricchiscono sulle spalle, a questo punto, dell’intera collettività. Occorrerebbe, infine, certamente un’analisi più accurata circa le problematiche relative alle dimensioni aziendali critiche per ciascun comparto, sugli aspetti peculiari delle grandi coltivazioni contrapposte a quelle di medie o piccole dimensioni oppure a certi aspetti della politica agricola europea contestati apertamente e che andrebbero esaminati più a fondo e con calma (come il riposo dei suoli: ovvero l’antica pratica del maggese che insieme alle rotazioni colturali costituiscono un elemento essenziale per garantire la fertilità dei terreni agrari, ma non mi è possibile farlo in questa circostanza volendo dedicare le ultime righe alla funzione imprescindibile delle aziende agricole (specie quelle piccole e medio piccole) nella cura e gestione del territorio.
La diffusa scomparsa delle aziende agricole innescherebbe inevitabilmente, come è già avvenuto su gran parte delle aree montane e su molte zone collinari della nostra bella ed amata Italia, il totale abbandono delle campagne con la loro organizzazione agronomica volta, per esempio, a governare le acque con conseguenze disastrose già oggi preannunciate dalle immancabili frane che fanno tremare gli abitanti “superstiti” delle colline e delle montagne ad ogni acquazzone. L’abbandono delle coltivazioni lascerebbe spazio alla colonizzazione di specie selvatiche, particolarmente quelle aliene ed invasive che meglio sfruttano condizioni di scadimento dei suoli agrari, con il conseguente degrado paesaggistico che umilierebbe e quindi cancellerebbe su vaste aree quella miracolosa capacità che i nostri antenati hanno dimostrato nel coniugare gli elementi naturali con la scienza agronomica e l’architettura rurale creando quei formidabili ed unici scenari che da sempre caratterizzano il nostro paese invidiatoci (ma anche amato) da sempre da tutto il mondo.
Valerio Montonati Agronomo
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