Noi, il lago e gli alberi (omaggio a Piero Chiara)
di Abramo Vane
La giornata si svegliava con un sole gentile. Non una brezza, per un lago che di norma viveva di piccole onde incessanti. Gli ippocastani lungo la riva, maestosi e saggi, sapevano tutto di noi. Erano testimoni di storie e segreti, pesanti ombre che davanti al nostro lago danzavano però leggere al ritmo della bellezza, che forse noi avevamo dimenticato, o che almeno cercavano altrove, lontano dalle meraviglie del Creatore.
Nella buia cantina del Caffè Clerici, i fiori erano di carta, e la vita si rivelava imprevedibile.
Il Camola ogni mattina prendeva posto in veranda, fatto su nel suo cappotto di cammello e i piedi sulla sedia davanti. Voltandosi gridava all’Anselmo: “Dove vai? Stai qui a buttar fuori dai polmoni il fumo delle sigarette, che gli alberi ne hanno bisogno”
“Ci vediamo questa sera”, tagliava corto l’Anselmo. Alle otto apriva la macelleria e non aveva ancora preparato il banco.
Il Pierino si sedeva accanto al Camola e da dietro lasciava fuoriuscire un’arietta, scanzonata e melodica. Era il segnale che il lago aspettava, e adesso era lui a generare movimento, le parole arrivavano a riva e si scioglievano nello sciacquio.
“L’onda del lago non è onda” declamava il Brovelli, “é oblio, ma non è onda” Il Camola reclinava il capo e dormiva. Il Pierino anche.
L’avvocato Speranza se n’era andato dalla cantina subito a casa, a riposarsi, perché nel pomeriggio, diceva, doveva essere in forma per incontri importanti in Tribunale a Milano.
Gli amici avevano scoperto che, seduto in un bar in Galleria, fino alle sei di sera aspettava una misteriosa dama. Poca speranza, nonostante il nome. Al Caffè arrivava allo scoccare delle ventidue, per ultimo, giusto in tempo per il primo giro di carte. Al tavolo verde era nervoso, farfugliava fra sé, un po’ alla volta il gioco delle carte lo rasserenava e gli dava fiducia, di vincere quella sera al Tresette, e il pomeriggio dopo in Galleria a Milano. Il Camola dormiente in veranda davanti al lago farneticava nomi di donne, avventure che sembravano scritte nel sogno, se non che il Pierino, che le registrava con scrupolo, già le conosceva nella realtà.
Poi i due s’incamminavano e lasciavano il Brovelli a parlare da solo, convinto com’era che la sua amante dall’altra sponda lo sentisse.
“È matto come una castagna matta”, si confidavano lungo il viale di ippocastani. Tutti i giorni allo stesso modo. Così era la vita – annotava il Pierino – fra noi, gli alberi e il lago. Monotona e meravigliosa.
Racconto di Abramo Vane (www.ilcavedio.org) – 5. Serie “Alberi e Omaggi”
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