“I soldi stanno uccidendo il calcio” ma non avranno la sua anima
Alla biblioteca dell'Università Liuc si è parlato del gioco più bello del mondo e del suo futuro. "Il calcio è una religione non rivelata e anticipa la storia"
Ciò che in altri luoghi del sapere è solo possibile, alla biblioteca dell’università Liuc di Castellanza diventa probabile. In un incontro di un’ora e mezza può infatti capitare di mettere a posto anche un mondo caotico, globalizzato e straripante di soldi come quello del calcio professionistico. Può capitare che il magnifico rettore si presenti con al collo la sciarpa dell’Inter per parlare di mercato del lavoro per i suoi giovani studenti e di efficienza organizzativa e che il pubblico non se ne voglia andare perché lì dentro le parole sono in grado di ridisegnare il perimetro di un giuoco – parola che compare nella ragione sociale della federazione – che affonda le sue radici nel Rinascimento italiano, quando il calcio fiorentino animava Firenze tanto quanto fa la Viola oggi.
Per parlare del gioco più bello del mondo, la biblioteca ha schierato un centrocampo a quattro con il rettore Federico Visconti sulla destra e il professor Marco Vitale, ad di Vitale Zane and. Co srl, a sinistra nel ruolo di capitano, e due “braccetti”, quelle che un tempo nel calcio si chiamavano mezzala, il visionario Alessandro Aleotti, fondatore e presidente del Brera Calcio, la terza squadra di Milano, e Michele Uva, manager responsabile della sostenibilità della Uefa. In panchina, pronta a sostenere la squadra sul piano finanziario, anche la professoressa Anna Gervasoni, direttore di Aifi l’associazione italiana di private equity, venture capital e private debt. (nella foto da sinistra: Marco Vitale, Michele Uva, Alessandro Aleotti e Federico Visconti)
IL CALCIO COME LINGUAGGIO UNIVERSALE
Aleotti ha usato il calcio come linguaggio per fare tante altre cose nella vita come, per esempio, far giocare una squadra composta da calciatori di cultura Rom con la nazionale della Padania della Lega di Umberto Bossi e vedere alla fine dell’incontro i giocatori abbracciarsi. «Una scena impagabile» ha detto il presidente del Brera Football club, società che dopo aver sperimentato per vent’anni progetti a forte impatto sociale nell’ambito dilettantistico è diventata una club globale con squadre presenti in tre continenti, Europa, Asia e Africa, la cui Holding è oggi quotata alla borsa di New York. «Il calcio è parte della nostra identità perché siamo stati tutti bambini ed è anche un sistema economico – ha detto Aleotti -. Ha una duplice genealogia inglese ma anche latina, se pensiamo al calcio fiorentino che non è poi così dissimile dal calcio moderno.»
IL CALCIO ANTICIPA LA STORIA
«Il calcio è un patrimonio culturale, un fatto che ha attraversato varie epoche, diventando durante il fascismo uno strumento del potere». Durante il ventennio si costruiscono i grandi stadi e si razionalizza il sistema imponendo la regola che ogni città abbia una sola squadra, fatta eccezione per Milano, Torino, Roma e Genova. «Alla fine del ‘900 si ribaltano i rapporti di potere – continua Aleotti – perché è il calcio che legittima il potere. Emblematico fu il caso di Silvio Berlusconi: la semantica del suo ingresso in politica è tutta calcistica a cominciare dal nome del suo partito “Forza Italia” che ricorda uno slogan da stadio. Nel secondo millennio sono le comunità geopolitiche emergenti a diventare protagoniste. Non è un caso che gli Usa oggi facciano così tanti investimenti in questo sport. Insomma, il calcio interpreta la storia e spesso la anticipa».
Il calcio però è anche un fatto economico condizionato da un’anomalia, il risultato sportivo, che alla fine è in grado di «scassare i bilanci» anche se gli americani stanno facendo di tutto per normalizzarlo e riportarlo nelle logiche di mercato, dimenticando però che è un prodotto meramente europeo e l’Europa nella storia moderna è sempre stato teatro di scontri.
IL CALCIO È UNA RELIGIONE
C’è poi una dimensione legata al linguaggio che, secondo Aleotti, assimila questo sport a una religione non rivelata: lo stadio diventa un tempio, i riti scaramantici diventano parte integrante della partita e i suoi adepti spesso adorano il dio denaro finendo per parlare sempre di soldi, il feticcio simbolico di questo sport. Michele Uva, autore insieme a Marco Vitale di “Viaggio nello sport italiano” (Mondadori), ricorda che in tempi recenti l’allenatore Arrigo Sacchi pronunciò una frase dal tono profetico: «I soldi stanno uccidendo il calcio».
Per evitare questa fine, occorrerebbe un nuovo modello di governance, evitando di lasciare il mercato in mano ai brocker. «Forse dovremmo fermare il calcio per un anno – dice provocatoriamente Michele Uva – e approfittarne per riformarlo dalle fondamenta. Il modello tedesco potrebbe incarnare la buona governance, ma uno giusto in assoluto ancora non esiste».
IL CALCIO È SOSTENIBILITÀ
Secondo il manager della Uefa, il mondo del calcio deve essere in linea con la società civile: «Questo sport deve fondarsi sui cinque pilastri della sostenibilità: sportiva, finanziaria, sociale, ambientale e culturale. Nessuno di questi aspetti può essere tralasciato».
Oggi ogni società di calcio deve avere obbligatoriamente un manager dedicato alla sostenibilità, pena l’esclusione dai contributi economici erogati dalla Uefa.
Visconti, in qualità di rettore e non di tifoso, si chiede se il calcio rappresenti un mercato del lavoro appetibile per i futuri laureati della Liuc. «Nel mondo dello sport in Italia e in particolare nel calcio – risponde Uva – ci sono poche opportunità di lavoro. Non potranno essere quelle squadre professionistiche che, paragonate a quindici imprese, potranno assumere tutti i laureati. La difficoltà vera sta nel cambio di mentalità».
Forse il vero mercato del lavoro non sta nel professionismo ma nel dilettantismo che ogni domenica nella sola Lombardia mette in campo duemila partite di calcio con arbitri ufficiali. È lì, forse, che bisognerebbe andare a cercare un’opportunità di lavoro.
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