“I miracoli del personale non bastano”. Riflessioni in pronto soccorso in attesa di una sutura
Un sindacalista si fa male alla testa e va al pronto soccorso per farsi medicare e nella lunga attesa fa una serie di riflessioni sulla sanità lombarda e le sue disfunzioni, tema che segue anche per lavoro
L’autore di questo articolo è Francesco Vazzana, responsabile dello sportello sociale della Camera del lavoro di Varese. Vazzana nei giorni scorsi si è affidato alle cure del Pronto soccorso a causa di una ferita alla testa. Durante la lunga attesa in ospedale è diventato testimone consapevole di una realtà che è spesso sotto osservazione da parte dei media e dell’opinione pubblica. La sanità è un servizio fondamentale e la retorica dell’eccellenza del sistema sanitario lombardo non serve e non aiuta a risolvere i tanti problemi e i disagi che affrontano i malati e quotidianamente i lavoratori del settore.
M. Man.
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Una banale caduta, una ferita che però ha reso necessaria l’applicazione di alcuni punti di sutura mi hanno portato a trasformarmi per un giorno – sedici ore per la precisione – in utente del Pronto Soccorso dell’ospedale di Varese.
Non ci sarebbe nulla di eccezionale in questo, ma il mio ruolo professionale: sindacalista nella Cgil con delega alle politiche sanitarie mi ha permesso di verificare personalmente l’efficienza della sanità in Lombardia.
La retorica dell’eccellenza, nella concretezza dell’agire si rivela un tema facilmente opinabile. In quelle lunghe ore, su una scomodissima sedia metallica, attorniato da decine di pazienti che come me hanno deciso di cercare la soluzione ai loro problemi di salute, lievi o più gravi, in pronto soccorso, la mente lavora incessantemente ed i pensieri si accumulano non potendo dimenticare il mio vissuto professionale.
IL PRONTO SOCCORSO È L’ULTIMA SPIAGGIA
La prima riflessione riguarda la dicotomia tra l’inadeguatezza del servizio e la grande professionalità degli operatori e operatrici. Il pronto soccorso è diventato ormai l’unica opportunità garantita dal territorio per chi abbia un problema e non voglia o non possa ricorrere al privato. Da questo discende il grosso tema dell’inadeguatezza, ovvero il ricorso a questa struttura anche da chi, teoricamente, non ne avrebbe titolo.
La direzione di ASST quando ci incontra (Organizzazioni sindacali) ufficialmente attribuisce a questo aspetto la responsabilità di tutte le disfunzioni del servizio. Ritengo che si tratti di un atteggiamento assolutorio per certi versi poco giustificabile; infatti, se è vero che parecchi dei presenti avrebbero potuto evitare di ricorrere al servizio, è altrettanto innegabile che il tutto discende da politiche sanitarie, a mio avviso sbagliate, che nella nostra regione hanno origini lontane.
Alla fine degli anni novanta l’aziendalizzazione del sistema sanitario da parte della prima presidenza Formigoni ha generato due conseguenze mantenute, se non incrementate, dalle giunte che si sono susseguite fino ad oggi: l’aumento di risorse a strutture private e lo svuotamento del territorio.
PRIVATO E PUBBLICO
Il primo elemento è confermato dai numeri, oggi la ripartizione dei servizi vede ormai una prevalenza delle strutture private a discapito di quelle pubbliche con un evidente penalizzazione per l’utenza costretta spesso a curarsi dovendo pagare le prestazioni o, nei casi più problematici rinunciare alle cure.
Tralascio volutamente il tema del diritto universale alla salute che decade a fronte di un onere economico generando disparità tra i cittadini. Il secondo aspetto: lo svuotamento del territorio è una conseguenza diretta del primo; infatti se non vengono destinate adeguate risorse al sistema pubblico, servizi come i consultori o altri in grado di rispondere gratuitamente alle emergenze dei cittadini, sono stati via via smantellati.
DOVE SONO FINITE LE CASE DI COMUNITÀ?
La vigente normativa regionale, per sopperire all’ospedalizzazione della sanità, prevede le Case di Comunità che nell’intenzione del legislatore dovrebbero essere dei presìdi in grado di erogare prestazioni sanitarie pubbliche, ebbene, al momento non disponiamo ancora di tutte le Case di Comunità che Regione ha previsto, ma soprattutto quelle attivate – anche nel nostro territorio – non sono in grado di garantire, per scarsità di fondi, i servizi previsti.
Quindi, alla luce delle considerazioni espresse, le persone ormai si trovano sempre più spesso nella condizione di ricorrere alla soluzione più semplice, senza contare che negli ultimi anni, per effetto del pensionamento dei professionisti più anziani, viviamo un’emergenza ancora non risolta di carenza di medici di medicina generale con i quali, anche ove presenti, pare si sia spezzata la fiducia nella capacità di fornire risposte adeguate.
GUERRA E PACE
Se la situazione, che vissuta personalmente ed in condizioni di malessere, appare inaccettabile dobbiamo certamente rivolgere un ringraziamento doveroso agli operatori che dimostrano professionalità ed empatia. Nelle lunghe ore di attesa ho assistito ad un episodio di violenza e minacce, fortunatamente solo verbali, da parte dei parenti di un giovane paziente. Inizialmente gli infermieri dell’accettazione hanno evitato di rispondere a tono per evitare che la situazione degenerasse, solo quando l’invettiva stava trasformandosi in un potenziale pericolo, un infermiere conscio della “semplicità” del caso se ne è fatto carico direttamente, accogliendo il giovane malato, trovando una soluzione immediata e congedandolo – è giusto usare questo termine poiché non vi è stata una procedura ufficiale – con la soddisfazione generale ed il cambio radicale di atteggiamento del parente più accanito che appariva colmo di gratitudine e rammaricato dell’atteggiamento tenuto fino a pochi minuti prima.
LA MIA ESPERIENZA
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, non posso negare la stanchezza per la lunga attesa; tuttavia ne traggo certamente sensazioni positive. Sono stato preso in carico da operatrici (le donne sono in schiacciante maggioranza) capaci, attente e scrupolose. Prima di applicare la sutura, allo scopo di scongiurare ulteriori complicazioni eventualmente derivanti dalla caduta, la giovane dottoressa che si occupava di me, assistita da una solerte infermiera, ha predisposto esami ecografici e radiologici. Solo ottenuta la garanzia che non fossero insorte complicazioni, ha proceduto con i punti e le dimissioni.
Durante l’attesa delle radiografie ho sostato in un corridoio adibito a degenza, nel quale un numero di pazienti allettati, che non saprei definire nel numero ma che ho notato essere in prevalenza anziani, mostrava insistentemente il proprio disagio al quale rispondevano prontamente, con atteggiamenti di conforto o interventi specifici le infermiere di turno che, contemporaneamente, garantivano l’accoglimento di nuovi pazienti che senza soluzione di continuità accedevano al reparto.
LA SCARSITÀ DEL PERSONALE
Durante le operazioni di cura che mi sono state garantite ho avuto la conferma dalla dottoressa che il problema più grave sia certamente la scarsità del personale, a parte lei che per tutto il turno doveva ricevere e provvedere, senza soluzione di continuità, a pazienti che presentavano sintomi di svariata gravità, mi ha socializzato una situazione nella quale gli infermieri, che rappresentano un imprescindibile supporto, sono soggetti a continuo turnover che genera oltre a fenomeni di sotto organico anche la necessità di procedere in continuazione a percorsi di formazione specifica.
SERVONO RISORSE
È del tutto evidente che finché sia a livello nazionale che regionale, non vengano riservate adeguate risorse al sistema pubblico, a pagarne le conseguenze saranno pazienti ed operatori costretti a vivere un costante disagio. Viviamo una condizione di costante invecchiamento della popolazione accompagnato dal fenomeno dei lavoratori poveri, costretti a vivere con scarsità di risorse economiche pur potendo contare su un’occupazione, questi due aspetti sociali che riguardano l’Italia impone una doverosa riflessione: ormai la sinergia tra pubblico e privato è un percorso tracciato e senza ritorno; tuttavia credo sia necessario ripensare alla destinazione dei fondi pubblici per il potenziamento di strutture adeguatamente dotate dal punto di vista delle professionalità che vi operano ed in regime di accesso universale per i pazienti.
In mancanza di un cambio di atteggiamento in questo senso, temo che dovremo misurarci con un sistema sanitario elitario e dispendioso e che l’eccellenza della sanità lombarda rimanga un mero slogan propagandistico.
Francesco Vazzana
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E nonostante il disservizio che “ogni” e sottolineo ogni cittadino lombardo subisce a causa della sanita pubblica sfavorita rispetto a quella privata, la maggioranza continua a votare chi da 40 anni ha depauperato il servizio. Ed e’ difficile capirne i motivi.
Quando la sanità collasserà e gli impatti si avranno sulla attuale generazione dei 40-50enni allora e solo allora si potrà avere qualche speranza che la gente si risvegli dal torpore decennale da cui sembra essere avvolta.
Il problema è che quando questo succederà non sarà l’unico evento traumatico ma verrà accompagnato dal collasso del sistema pensionistico, del credito e del wellfare sociale.
Sono anni che continuo a sostenere che senza un cambio di mentalità radicale è completamente inutile buttare soldi pubblici o del Pnrr in quel progetto o in quella riqualificazione. E pensi che ci abbiamo pure rifatto le piazze dei centri storici con i soldi (a debito) del fondo europeo. Il coperchio della pentola salterà e purtroppo salterà male.