Occupazione e pensioni: l’allarme dell’Inps sui rischi di una crescita apparente
Il presidente del Comitato regionale Inps, Vittorio Colombo, invita a riflettere sulla qualità dell'occupazione e sulla sostenibilità del sistema pensionistico italiano, tra crisi inflazionistica, precariato giovanile e narrazioni mediatiche fuorvianti
«Quando si scrive di occupazione e pensioni, bisognerebbe evitare gli slogan». La spinta gentile, rivolta ai giornalisti, è di Vittorio Colombo, presidente del Comitato regionale Inps Lombardia. Un suggerimento dato alla luce dei numeri presentati con il resoconto provinciale dell’Inps che hanno inquadrato due temi centrali nelle dinamiche socio-economiche attuali: la centralità del lavoro e la sostenibilità del sistema pensionistico italiano. Due aspetti legati tra loro che vanno analizzati attentamente per evitare errori di valutazione.
«Gli organi di informazione dicono che il livello del tasso di occupazione è ai massimi storici – ha detto Colombo – e che la disoccupazione è in discesa. Tutta questa narrazione ha bisogno di un un po’ di discernimento perché si parla in generale di lavoro, mentre dovremmo anche misurare la qualità del lavoro di cui si parla».
Le criticità che hanno caratterizzato l’ultimo anno, secondo Colombo, sono diverse. A cominciare dal periodo di alta inflazione, a cui non è corrisposto un aumento della retribuzione.
Sono aumentati i prezzi. Sono aumentati gli occupati. Sono aumentate le entrate contributive, ma non proporzionalmente all’aumento dell’occupazione. «Tutto questo impatta inevitabilmente sul costo della vita – ha sottolineato il presidente del Comitato regionale Inps – ed è visibile con chiarezza nel carrello della spesa. A queste criticità, dobbiamo aggiungere le tensioni internazionali e la crisi dell’automotive che si fa sentire anche in una provincia virtuosa come quella di Varese, dove c’è una grande vivacità imprenditoriale. Bisogna dunque fare molta attenzione a certi slogan e analizzare meglio la situazione».
A proposito di luoghi comuni e slogan usati impropriamente, ci sono altri due argomenti sui quali Colombo avanza più di un dubbio. Il primo riguarda l’aumento delle Naspi (indennità mensile di disoccupazione), il secondo è l’affermazione che i giovani non vogliano più un posto fisso. Generalizzare questo tema è sbagliato. Questo è un lusso che solo una piccola schiera di lavoratori ad alto potere contrattuale si può permettere e non certo la totalità dei giovani.
«Chi lavora nel commercio, nel turismo e nel terziario, penso ai dipendenti degli ipermercati e delle case di riposo – ha sottolineato Colombo – non credo che abbiano l’ambizione di rimanere a tempo determinato tutta la vita. Gli economisti dicono che se in un sistema con l’economia in espansione c’è una forte incidenza degli ammortizzatori sociali, allora significa che qualcosa nel sistema non torna».
Quando si parla di giovani e lavoro c’è sicuramente un tema legato alla prospettiva che il lavoro è in grado di dare e anche alla possibilità di fare carriera. Avere stabilità nell’occupazione significa poter immaginare un futuro e procedere alla sua realizzazione. Un termometro per misurare tutto questo è il numero di mutui accesi per l’acquisto della casa. Nel 2023 sono stati circa 330.000, in calo di quasi il 25% rispetto all’anno precedente. Una flessione significativa dovuta per lo più all’aumento dei tassi di interesse, che hanno reso il costo del credito meno accessibile.
Sul tema dell’occupazione giovanile pochi giorni fa è intervenuto l’economista Stefano Zamagni ospite della fondazione Il circolo della bontà. L’economista riferendosi all’esodo dei giovani medici e paramedici italiani all’estero e in particolare nella vicina Svizzera ha ricordato che: «Non si va via dall’Italia solo perché si è pagati poco. È vero che qualche soldo in più non dispiace a nessuno, ma non è quella la ragione principale. La vera ragione è che in Italia i giovani non riescono a mostrare il loro potenziale e a sviluppare le loro doti perché è un sistema gerarchico bloccato».
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