Le ore dei soccorsi a Ottavia Piana nel racconto del varesino Simon Lindner
Simon Beatrice Lindner ricostruisce per la prima volta quelle drammatiche prime ore dei soccorsi per far uscire la speleologa dalle grotte dell’abisso Bueno Fonteno
«Quando sabato sera è scattato l’allarme ero a cena da amici. Giusto il tempo di rientrare a casa, preparare lo zaino e aspettare il resto della squadra di Varese per poi partire verso Milano dove abbiamo recuperato il medico. Essendo il vice capo stazione della Lombardia mi sono mosso subito. Questo fa parte del mestiere».
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Simon Beatrice Lindner ricostruisce per la prima volta quelle drammatiche prime ore dei soccorsi per far uscire Ottavia Piana dalle grotte dell’abisso Bueno Fonteno. Lui abita a Varese, si è avvicinato alla speleologia quindici anni fa e via via è diventato sempre più esperto fino a diventare istruttore del Cai e tecnico del soccorso speleologico. Nel marzo del 2023, insieme ad altri era stato protagonista della traversata storica nel ventre del Campo dei Fiori dentro la Grotta dei Mattarelli che aveva permesso di scoprire un nuovo ingresso risalendo dal basso fino a raggiungere la superficie.
«A Fonteno, oltre alla nostra da Varese, sono arrivate subito altre squadre. Io con altri nove abbiamo aspettato che ci consegnassero l’esplosivo, abbiamo preparato tutto e domenica mattina siamo entrati per operare nella grotta. Per fortuna il lavoro da fare era meno di quello che ci aspettavamo e così sono passato a essere un tecnico della barella per il trasporto della ferita. Mi sono trovato a gestire uno dei passaggi più delicati in una forra stretta e alta quindici metri e sono state necessarie tante tecniche per superare quel punto».
IL VIDEO DEL SALVATAGGIO
Qual è il clima che si vive durante le operazioni di soccorso?
«Il clima è pesante perché la comunità degli speleologhi è molto piccola e compatta. Ci si conosce tutti e quindi è più difficile esser distaccati. Ottavia è una speleologa esperta ed è un’istruttrice del Cai come me. I salvataggi sono situazioni pesanti. C’è tanta stanchezza perché non si dorme. È fondamentale esser veloci nelle operazioni di soccorso. C’è sempre un po’ di timore di non farcela».
Qual è stata la cosa più difficile in quelle ore?
«La coordinazione, perché in casi come il recupero di Ottavia c’è bisogno di tantissime persone che arrivano da tutta Italia con un’alternanza continua di tecnici. Si tenga conto poi che la comunicazione è difficile e complicata. Finché non si arriva sul posto posando il doppino del telefono che permette di comunicare con l’esterno ci sono tanti dubbi e angosce. Poi c’è l’aspetto medico perché lì non hai un ospedale. Non c’è un elicottero per un trasporto rapido. Il dottore scende con uno zaino e lì dentro devi avere tutto quello che può servire a salvare la persona».
Nella sua esperienza di tecnico ha effettuato altre operazioni di soccorso?
«Diverse e nell’ultimo anno sono stato nella squadra per il salvataggio di Ottavia sempre a Fonteno e poi in Turchia per lo speleologo statunitense Mark DicKey che aveva avuto un infortunio nella grotta di Mosca a oltre mille metri di profondità. È uscito vivo dopo oltre una settimana di intervento».
Lei scende molto nelle grotte delle nostre montagne. Ricorda episodi di gravi infortuni?
«Succedono e sono successi. Per fortuna negli ultimi anni nulla di molto grave, ma abbiamo avuto diversi incidenti. L’ultimo a San Martino per via di una sasso che ha colpito una speleologa alla testa».
Il salvataggio della speleologa Ottavia Piana in 5 video (dal Post).
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