Sono un Harraga e ho bruciato il mio passato
Sono in genere marocchini, quasi tutti minorenni. Harraga significa il bruciatore, perché distruggono i documenti prima di imbarcarsi a Tangeri
Ci sono parole che cambiano la faccia alle persone, come il sole e il vento. “Harraga” , letteralmente “bruciatori”, è una di quelle. Per molti ragazzi del Sud del Mondo che tentano il viaggio della vita verso l’Europa, quella parola è un segno di appartenenza ad un destino di sventura.
Gli Harraga declinano i pensieri solo al futuro, mentre il loro passato svanisce in una fiammata. Bruciano i loro documenti d’identità per non essere rispediti nei paesi d’origine in caso di arresto.
Sono quasi tutti minorenni e, quando arrivano al porto di Tangeri, in Marocco, si riconoscono dal loro sguardo sfuggente e perennemente in attesa. Hanno i capelli arruffati, vestiti senza forma, dormono sulla banchina, per strada o in rimesse di fortuna, mangiano rovistando tra i rifiuti. La pelle degli Harraga ha il colore della polvere che rende il loro aspetto di un’irreale uniformità. Potrebbero essere tutti fratelli o tutti appartenenti alla stessa tribù, non importa, in comune hanno il desiderio di aprire la porta del benessere che sta davanti a loro. Il profilo della speranza è quello della Spagna che, nelle giornate terse, come per incanto rende lo stretto di Gibilterra ancora più stretto.
Questi ragazzi non cercano rassicurazioni, ma solo un segnale per partire, non importa con chi e con cosa. Si accoccolano sotto la pancia di un camion, scompaiono negli anfratti invisibili dei traghetti o si imbarcano su bagnarole che non ce la faranno mai. Azzardano una scommessa con il destino il cui prezzo puo’ essere la morte. Sono molti, infatti, gli Harraga che giacciono in fondo allo stretto di Gibilterra, circa 200 solo nel 2005. Una cifra arrotondata per difetto, considerato che i tentativi di passaggio nell’ultimo anno sono stati almeno 12 mila. Sono ragazzi senza nome, senza storia e quindi nessuno ne rivendica la scomparsa e il dolore patito.
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