Il reparto infettivi è pronto, ma rimane chiuso
Terminata dal luglio scorso, la palazzina dell'ospedale di Circolo non viene inspiegabilmente aperta. E si continua a lavorare nel disagio
Era tutto pronto già nel luglio scorso. Mancava solo l’adesione del neo assessore regionale alla sanità Alessandro Cè. Quell’adesione non arrivò mai e ancora oggi, a distanza di otto mesi, il nuovissimo reparto per le malattie infettive dell’ospedale di Circolo, costruito con un finanziamento che risale, pensate, al 1990 quando fu deciso di potenziare la rete sanitaria dedicata alle malattie contagiose, langue abbandonato.
Quell’edificio, perfetto anche negli arredi interni, sorge proprio al fianco del cantiere del nuovo ospedale su cui si concentra l’attenzione di tutti.
La cosa rientrerebbe, forse, nel novero dei numerosi "sprechi" di cui si hanno esempi in abbondanza, se non fosse che quel reparto è la soluzione di tanti, a volte allarmanti, problemi in cui si dibatte oggi il reparto degli infettivi.
L’unità operativa, diretta dal professor Paolo Grossi, fu trasferita nel febbraio del 2003 in quelli che erano i locali della dermatologia, in attesa che il cantiere fosse ultimato.
Locali vetusti, un po’ fatiscenti, il cui stato è ulteriormente degenerato una volta avviato il cantiere di via Guicciardini, quando il mega scavo provocò una crepa profonda nel muro del piano di degenza: «Vedevamo quotidianamente la crepa allargarsi – ricorda il primario – molti di noi temevano che lo stabile crollasse. Per questo ci venne assegnato un impianto di monitoraggio di una società di ingegneria che teneva costantemente sotto controllo la situazione. Non è successo nulla e, ci hanno detto, non poteva succedere nulla, ma noi non eravamo esperti…. Per risolvere la situazione, comunque, venne costruito il muro di contenimento dello scavo e da quel giorno non abbiamo avuto più problemi, se non contiamo il grande rumore».
Oggi il reparto degli infettivi lavora in uno stato preoccupante: pavimenti scrostati, crepe nei muri, alcune infiltrazioni antipatiche, gli ascensori che funzionano a singhiozzo, gli infissi delle finestre rovinati. Quel che è peggio, però, è che il reparto non garantisce uno standard di sicurezza elevato: le camere di degenza non hanno protezioni e i parenti in visita circolano liberamente in corrodoio: «Io mi sento a disagio – commenta un po’ demoralizzato il primario – sia verso i pazienti sia verso i familiari. Noi facciamo del nostro meglio e anche di più, ma siamo al limite».
Il problema di quella bella e nuovissima struttura adiacente è di ordine giudiziario: in merito a quell’appalto è in corso un’indagine della magistratura ma, assicura il professor Grossi, non c’è mai stato alcun sequestro dello stabile e il pubblico ministero non ha posto vincoli. Il problema è che manca il collaudo, che non può avvenire finchè il Genio civile non dà il nulla osta. Quest’ultimo, però, non si pronuncia, forse perchè si attende che la situazione giudiziaria si chiarisca: «Quel procedimento è legato ad uno sbaglio di progettazione iniziale – ricorda Grossi – Un tempo si pensava di alzare di un piano lo stabile dove siamo attualmente. Quando il progetto venne ripreso nel 2000 ci si rese conto che le fondamenta non sarebbero state adeguate. Si scelse, così, di costruire un altro reparto per mantenere il numero di posti letto imposti per legge. Quella variazione di progetto comportò un aumento di spesa e una variazione di progetto, proprio quella che oggi sta bloccando il nostro trasloco».
Una dimenticanza, un eccesso di zelo? Cosa ostacola, oggi, l’apertura di un reparto con 32 letti rispettosi di tutti gli standard di sicurezza?
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