“L’ossigenazione non serve a nulla”
Fanghi depositati sul fondo, mancanza dei canneti a riva, comuni che non sono allacciati al collettore. Per risanare il lago di Varese occorrono anche "buona volontà amministrativa e saggezza politica"
«L’ossigenazione del lago di Varese non serve a nulla. Anzi oggi soprattutto in superficie e in primavera si assiste ad un’iperossigenazione. Insomma ce n’è troppo». A parlare è Ernesto Giorgetti, pescatore di Cazzago Brabbia, uno degli ultimi. Il provvedimento preso dalla Provincia di Varese che sospende l’immissione forzata di ossigeno nelle acque del lago per risanarlo, dunque, non lo sorprende.
La cura era stata avviata cinque anni fa, insieme al prelievo di acque di profondità. «La situazione del lago è discreta – continua Giorgetti – e il suo miglioramento è dovuto al collettore che ha portato via il 90 per cento degli scarichi fognari. Rimane ancora un piccola quota di inquinamento dovuta ai residui organici vegetali interni e a quei paesi che non hanno il collettore. Il problema del lago sono, invece, le rive. Non c’è più canneto e i fanghi depositati a pochi metri andrebbero rimossi. Quando metto una rete a riva, i pesci che vi entrano muoiono asfissiati in un quarto d’ora per i gas esalati. Bisogna tirare fuori quella palta. Toglierne una tonnellata equivale ad un anno di ossigenazione».
Se Giorgetti è uno dei “padri” del lago di Varese, in quanto pescatore (appartenente a una storica famiglia di pescatori), il professor Salvatore Furia lo è in quanto scienziato e naturalista. Una passione forte al punto che quarant’anni fa per denunciare il problema dell’inquinamento e portarlo a conoscenza di tutta la cittadinanza riempì la fontana di piazza Monte Grappa con le acque del lago sofferente.
«In passato – afferma Furia – avevo attrezzato un laboratorio per fare periodicamente le analisi delle acque e dei pesci. E sulle rive di questo lago ho portato celebri studiosi. La soluzione? Se partiamo da un concetto di progresso e turismo compatibili dobbiamo chiederci come è possibile che comuni che si affacciano sul lago diano concessioni edilizie quando non hanno ancora un collettore per le fogne. Un esempio è la città di Gavirate che è a un tiro di schioppo dall’impianto di Bardello e nonostante ciò non ha ancora un collettore. Se devo costruire vicino al lago devo avere assolutamente l’allacciamento, e se sono al di sotto del livello del collettore è necessario prevedere tra i costi le pompe di sollevamento delle acque nere. Per fare arretrare il mostro inquinamento non basta che si muovano i giganti, come del resto ha fatto la Provincia di Varese. È necessario che si muovano anche i piccoli, i comuni in primis. Se si ama veramente questo territorio, occorrono buona volontà amministrativa e saggezza politica».
La sospensione è comunque temporanea, in attesa di sapere come evolve la situazione. «Abbiamo costituito un osservatorio con l’Arpa, i comuni costieri e altri enti che da qui all’estate prossima dovrebbe decidere sul da farsi, in base ai risultati e alle analisi», spiega l’assessore provinciale all’Ambiente Francesco Pintus. «La sospensione è stata decisa perché il rapporto costo-beneficio non era conveniente. Il collettore ha portato un giovamento notevole, ma il vero problema è costituito dalla mancate divisione degli scarichi delle acque nere da quelle bianche, questo fa sì che nei momenti di piena nel lago si riversano scarichi di fosforo. Per dividerle occorre una grande spesa. Comunque se al termine di questo periodo di monitoraggio la situazione peggiora riprenderemo con gli interventi».
I vertici di Sogeiva Spa, la società che ha gestito fino ad oggi il piano di risanamento del lago di Varese, hanno commentato laconicamente: «Prendiamo atto della decisione di sospendere l’attività in attesa di una valutazione più approfondita sulla situazione attuale del lago. Ci rendiamo anche conto del peso che in questa valutazione avrà il rapporto tra costi e benefici».
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