L’altra shoah, “Porrajmos” lo stermino degli zingari
In pochi oggi ricordano lo sterminio del popolo rom da parte dei nazisti. L'Opera nomadi ha pubblicato "Il Porrajmos dimenticato", un lavoro di ricerca storica e di raccolta della memoria orale di quei fatti
Alla vigilia del ricordo dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, avvenuto sessant’anni fa, lo sterminio degli zingari continua a rimanere una storia ancora tutta da scrivere. Quella che il popolo ebraico chiama Shoah, in lingua romanés si chiama “Porrajmos”. Una parola che pochi conoscono ma che in italiano si traduce con annientamento, distruzione, divoramento.
Il popolo rom ha patito sofferenze atroci durante il nazismo: fino a oggi, solo alcune centinaia di migliaia sono le vittime accertate, ma la maggior parte degli storici concorda sull’impossibilità di fornire cifre definitive, anche perché agli zingari uccisi dai nazisti nei campi di sterminio, bisogna aggiungere quelli perseguitati con la pratica della sterilizzazione coatta o con la prigionia nei campi di detenzione, nei territori occupati dai teddeschi in Europa.
Come sempre non nel numero delle vittime, ma nell’ideologia stessa che sottende l’idea di discriminazione, di persecuzione, di sterminio, si annida il crimine. Ebrei, zingari, oppositori politici, omosessuali, testimoni di Geova, disabili, malati psichici sono stati uccisi insieme nelle camere a gas, in ragione di un atto finale che costituisce l’epilogo logico e “necessario” dell’ideologia razzista.
Anche il regime fascista fu direttamente responsabile della persecuzione razzista contro i Rom e collaborò attivamente al Porrajmos, sia nei confronti degli zingari italiani e stranieri insediati sul territorio nazionale, sia ai danni dei gruppi rom dei paesi occupati dal nostro esercito.
Tragiche ed emblematiche sono le testimonianze delle efferatezze compiute dagli “italiani brava gente” in zona jugoslava, riportate alla luce anche dagli studi più recenti. L’assenza, nel nostro paese, di una esplicita legislazione razziale riconducibile agli zingari, utilizzata per negare le responsabilità del regime e la continuità con gli orrori che si andavano perpetrando in Europa, non deve trarre in inganno. L’ampia discrezionalità nell’applicazione estensiva di alcune norme anti-ebraiche e il ricorso a disposizioni prefettizie e delle questure in materia d’ordine pubblico, di fatto, fornirono i presupposti per l’applicazione di una politica razziale nazionale che consentisse vessazioni, limitazioni della libertà di circolazione, rastrellamenti, internamenti nei campi di prigionia italiani, nonché il trasferimento nei lager nazisti di alcune migliaia di rom e sinti italiani e stranieri.
L’Opera Nomadi ha pubblicato un libro che racconta “Il Porrajmos dimenticato“, un lavoro di ricerca storica e di raccolta della memoria orale, condotto tra le comunità rom e sinte italiane e arricchito dalla presentazione di due filmati testimonianza e un cd multimediale. Un’iniziativa rivolta innanzitutto ai giovani, alle scuole medie e superiori e alle università, al mondo della cultura, alle istituzioni e all’opinione pubblica con l’obiettivo di far luce sul Porrajmos del popolo rom e sinto.
Il tempo avanza e la raccolta di testimonianze dirette diventa sempre più difficile ma questa è, di fatto, la strada da percorrere per consentire la ricostruzione dei tragici eventi di quegli anni, a maggior ragione in un ambito sociale che, ignorato dalla storiografia ufficiale, ha affidato quasi esclusivamente alla narrazione orale la trasmissione della propria storia e cultura, e conseguentemente della propria identità.
Per quanto riguarda la “società maggioritaria”, è anche qui necessario ribadire la necessità uno sforzo di conoscenza e di approfondimento, a partire da una specifica attività di ricerca storica. Istituzioni pubbliche e private, università, istituti storici nazionali e locali dovrebbero promuovere un’intensa azione di ricognizione archivistica e documentaria, restituendoci la reale portata delle persecuzioni e ricostruendo le radici giuridico-normative (e quelle, pur sedicenti, medico-scientifiche) impiegate per la legittimare una discriminazione che anche per i rom è stata razziale e che, pure in Italia, fu tutt’altro che episodica e marginale.
Occorre ricordare che ancora oggi i Rom continuano ad essere uno dei gruppi a più alto rischio di esclusione sociale, anche quando sono cittadini italiani e vivono in condizioni di relativa o compiuta sedentarietà, ma continuano ad essere “costretti” a non dichiarare pubblicamente la propria appartenenza e identità per aggirare il pregiudizio diffuso che li circonda.
E questa, per quanto grave e inaccettabile, è solo la parte più “riconoscibile” di uno scenario sociale ben più ampio e complesso, a livello nazionale ed europeo, che alimenta pericolosamente la discriminazione e il razzismo tra i popoli, lungo un percorso storico di violente discriminazioni che, ieri come oggi, non appaiono essersi interrotte nei confronti del popolo rom e sinto.
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