Trasparenti per forza
Dopo i grandi gruppi bancari, la seconda parte della video-inchiesta "il credito (im)possibile" di Confartigianato Imprese Varese, si concentra sul credito cooperativo. Esistono ancora delle differenze o è tutto in balia di rating e bilanci?
«Noi adesso abbiamo tanti imprevisti e poca liquidità». La signora Battistella riassume così il problema a cui la sua piccola attività, una confezione a Gallarate, deve fare fronte tutti i giorni:
la scarsa propensione degli istituti bancari a concedere credito a imprese che non hanno una solidità finanziaria e un business plan definito e consolidato.
La seconda puntata dell’inchiesta "il credito (im)possibile", presentata lunedì scorso da Confartigianato Imprese Varese, affronta un nodo spinoso per migliaia di piccole e medie imprese italiane poco capitalizzate: le stringenti regole di rientro dai finanziamenti richieste dagli istituti di credito. Garanzie che, se da una parte, sono indispensabili per il funzionamento di un istituto bancario, dall’altra si sono fatte sempre più severe dall’inizio della crisi economica, finendo per strozzare i piccoli e medi imprenditori del territorio.
Ma se la solidità finanziaria è considerata come prioritaria dagli istituti di credito, così come lo è un efficace pianificazione aziendale e una strategia che guardi all’estero, dall’altra è inutile nascondersi dietro a un dito. A dirlo è Luca Barni, direttore della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate. «Le banche – dice Barni – con tutte le colpe che possono avere, hanno pagato cara la crisi di questi anni. Si parla di decine di miliardi di euro messi a perdite su crediti. Quindi è innegabile che le banche hanno pagato caro la crisi del sistema dell’economia reale. Quindi è inevitabile che il rapporto con il cliente sia cambiato. Noi della Bcc abbiamo il segno più perché siamo andati dal cliente a proporre determinate tipologie di finanziamento.
Ma l’abbiamo fatto andando da quei clienti che hanno determinate risorse che gli garantiscono il futuro dal punto di vista della redditività. Il paradigma del passato: azienda povera, imprenditore ricco o artigiano ricco, non è più un paradigma applicabile in questo periodo. È molto semplice: se credi nella tua azienda ci metti qualche quattrino o non chiedi tutto alla banca».
La ricetta di Barni è dunque incentrata sulla trasparenza del rapporto tra banca e impresa. Una trasparenza troppo a lungo latitante tra imprenditori e istituti di credito e che rischia di rimanere tale, sostituita dai rating aziendali, vera cartina di tornasole delle banche che per Barni altro non sono se non «automatismi, molto belli da un punto di vista scientifico, ma devastanti dal punto di vista dell’oggettività dei rapporti con il cliente»
Rapporti che, secondo Flavio Debellini, direttore territoriale di Ubi Banca, la stretta creditizia ha contribuito a cambiare radicalmente, estinguendo quell’aspetto di "faciloneria" con cui in passato veniva erogato il credito.
Il modello d’impresa vincente tuttavia, e in questo secondo episodio è lampante, è quello che sa pianificare, specializzarsi, guardare all’estero e proporsi in modo trasparente al proprio istituto di credito.
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