Il professor Fineschi mette in dubbio che Uva fosse autolesionista
Ascoltato in aula un consulente della famiglia Uva più favorevole alla tesi del pestaggio
Le lesioni alla testa, se verificatesi sopra la linea della tesa del cappello, cioè in pratica sopra gli occhi, sono sempre eteroprodotte. Si tratta in definitiva, sempre, di colpi ricevuti da qualcuno, da un agente esterno.
E’ la tesi che ha sostenuto oggi in aula, durante il processo Uva, il consulente della famiglia Uva, parte civile, professor Vittorio Fineschi, un medico legale molto noto, già protagonista di tanti casi, da Cucchi a Pino Daniele.
Fineschi è stato il consunte delle sorelle Uva, durante gli esami di riesumazione sul corpo di Giuseppe, effettuati nell’ambito del processo a uno psichiatra dell’ospedale di Varese, nella prima parte di questa vicenda. In quell’occasione Fineschi non scrisse nelle osservazioni la sua deduzione, ed è anche su questo punto che gli avvocati della difesa (gli imputati sono 2 carabinieri e 6 poliziotti) lo hanno incalzato. Ma Fineschi ha sostenuto che all’epoca i tempi non erano maturi.
Durante il processo diversi testimoni hanno riferito di aver visto Giuseppe Uva dare una testata contro una vetrata nella caserma dei carabinieri di Varese. Il consulente ha però sostenuto che studi americani e tedeschi hanno stabilito una regola secondo la quale un colpo in testa a quella altezza non può essere autodiretto. Un’affermazione sulla quale si è tornati spesso durante la sua audizione. In aula è stato poi ascoltato anche il professor Tagliabracci, un altro consulente di parte civile.
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