Giro di vite per le imprese artigiane che lavorano in Ticino
La Legge Imprese Artigiane (LIA) chiede alle aziende della filiera casa e agli impiantisti l’iscrizione ad un Albo con relativo e costoso versamento di una tassa. Confartigianato: «Ostacolano le nostre imprese violando gli accordi bilaterali»
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Si chiama Lia e non è una donna, ma la nuova “Legge imprese artigiane” che entrerà in vigore il 1° febbraio prossimo. Dietro quel dolce acronimo c’è un provvedimento del Consiglio di Stato del Canton Ticino in base al quale si pretende dalle imprese italiane della filiera casa (dagli edili agli impiantisti idraulici ed elettrici) che lavorano o vogliono lavorare sul territorio ticinese, l’iscrizione all’Albo delle imprese artigianali.
Si tratta di un obbligo, che si va ad aggiungere a quelli già esistenti per poter lavorare in Svizzera. Insomma, un’ulteriore complicazione per le 5.000 imprese artigiane, micro e piccole, e i 10mila lavoratori lombardi che varcano il confine quotidianamente per portare la loro professionalità nel Ticino.
Confartigianato Varese non nasconde la propria preoccupazione per le imprese associate che già lavorano con imprese e privati al di là del confine e quindi si è mossa con le autorità ticinesi per poter ottenere il maggior numero di informazioni e dare le prime rassicurazioni alle imprese. L’associazione di via Milano è in grado di fornire i primi dettagli tecnici in attesa che, completato il quadro normativo, si possa procedere con un affiancamento il più possibile esaustivo nei confronti delle aziende perché la raccolta e la compilazione della modulistica richiesta dalle autorità d’oltreconfine è piuttosto complessa. Complessità che ha portato Confartigianato a sensibilizzare le istituzioni lombarde nei confronti di un problema che coinvolge buona parte del tessuto imprenditoriale. Per chi volesse informazioni può’ telefonare allo 0332.256111.
«La legge del Consiglio di Stato – dice Mauro Colombo, direttore generale di Confartigianato Imprese Varese – disciplina l’esercizio della professione di imprenditore nel settore artigianale introducendo, però, elementi che ostacolano la circolazione delle imprese estere in Canton Ticino in contrasto con gli accordi bilaterali tra Unione Europea e Svizzera. Inoltre, nella legge viene inserito anche l’obbligo di rispettare, da parte delle imprese, determinati requisiti professionali, come l’omologazione dei titoli di specializzazione, che sono demandati all’assoluta discrezionalità di giudizio di una Commissione che, probabilmente, andrà a colpire soprattutto le imprese di più piccole dimensioni. A questo va aggiunta la sperequazione dei costi di iscrizione all’Albo (2.000 franchi svizzeri più 300 franchi svizzeri per ogni specializzazione: per esempio, se sono imbianchino e anche gessatore dovrò versare 600 franchi), la polizza assicurativa richiesta con massimale di 1 milione di franchi, le sanzioni che possono arrivare fino a 50.000 franchi e la raccolta di circa 7 tra certificati e permessi da consegnare, poi, alle autorità ticinesi».
In tutto questo, però, c’è un punto che alle autorità ticinesi sembra essere sfuggito: «Porre vincoli così severi alle imprese italiane non è vantaggioso neppure per le aziende svizzere – conclude Colombo – perché i nostri imprenditori sono proprio quelli che garantiscono l’operatività, ventiquattro ore su ventiquattro, degli impianti produttivi delle imprese del Canton Ticino. L’eventuale danneggiamento che deriverà dall’applicazione della Lia, quindi, interesserebbe non solo i nostri professionisti ma anche tutte quelle realtà imprenditoriali d’oltreconfine che fino ad oggi hanno fatto leva sulla preparazione, sulla flessibilità e sulla prontezza delle imprese italiane. Piuttosto che andare verso una restrizione del mercato, in questo caso realizzato attraverso criteri di valutazione che potrebbero risultare iniqui da parte della Commissione, si dovrebbe procedere con un gioco di squadra tra imprese svizzere e italiane per poter sfruttare tutte le opportunità che può offrire un mercato comune».
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