La storia dell’ultimo sonderkommando in un libro

Oggi ha 90 anni e vive a Padova. Prima in un documentario e poi in un libro racconta i suoi 7 mesi nel campo di sterminio di Dachau e tutto quello che è stato costretto a vedere: "Priebke ha detto che non c'erano le camere a gas, io le ho viste"

«Nel suo testamento Priebke dice che nei lager nazisti non c’erano le camere a gas. Io li ho visti quei morti soffocati. Una mattina mi hanno fatto entrare nella camera a gas di Dachau assieme a un altro internato francese. Ho staccato a fatica 60 ebrei che avevano gasato nella notte. Quei poveretti, prima di morire, si erano abbracciati. Una scena straziante…». Con queste parole  il fagnanese Enrico Vanzini, reduce di Dachau dove lo obbligarono a fare quello che le SS non si sentivano più di fare, ha reso nei giorni scorsi dopo l’ennesimo tentativo del gerarca nazista di mistificare una realtà assodata. Vanzini oggi vive a Padova, ricorda tutto e racconta nel libro di Roberto Brumat cosa ha vissuto in quei 7 mesi nel campo di annientamento di Dachau.

La sua storia è raccontata anche  su Wikipedia. Nel 1939 Enrico Vanzini (a destra nella foto di Manuel Pegoraro) fu arruolato in artiglieria nella Caserma di Alba e destinato al fronte russo. A causa di un intervento chirurgico cui venne sottoposto saltò la chiamata e venne inviato in Grecia. Dopo il proclama dell’8 settembre 1943 fu arrestato dalla Wehrmacht essendosi rifiutato di collaborare con i nazisti. Il 19 settembre 1943 fu caricato ad Atene su un treno stipato all’inverosimile di prigionieri italiani ed inviato in Germania. Il viaggio durò due settimane in condizioni igieniche precarie, con scarsissime razioni di cibo e di acqua. Molti dei suoi compagni perirono durante il viaggio. Condannato ai lavori forzati fu inviato ad Ingolstadt per lavorare nell’industria bellica del Reich presso una fabbrica di chassis di carri armati. I bombardamenti anglo-americani colpirono più volte la cittadina di Ingolstadt considerata obiettivo militare strategico. Nel settembre del 1944 dopo un intenso bombardamento alleato la fabbrica venne duramente colpita ed Enrico Vanzini con altri due compagni approfittando della situazione di generale smarrimento riuscì a fuggire. Venne arrestato dieci giorni più tardi nelle campagne a sud di Monaco e condotto al campo di concentramento di Buchenwald.

Nonostante la condanna a morte, con l’aiuto di un ufficiale della Wehrmacht, lui e i suoi compagni riescono a dimostrare di non essere fuggiti da Ingolstadt ma di essere stati abbandonati a causa dei bombardamenti intensi. La pena venne commutata in internamento. Enrico Vanzini entrò nel campo di concentramento di Dachau nell’ottobre del 1944.  Nei sette mesi di detenzione Enrico Vanzini, oltre agli stenti dovuti alla fame, al trattamento disumano, al lavoro, alle epidemie, alla sete e al gelido inverno, fu testimone dell’orrore dei forni crematori: fu costretto infatti a lavorare per i nazisti nello smaltimento dei cadaveri nei crematori. A Dachau erano due, uno molto piccolo in un capannone di legno dipinto nello stile di casa della bavaria e accanto un altro molto grande in muratura dotato di una ampia sala d’incenerimento con quattro forni, inaugurato nel 1943. Secondo la sua testimonianza e quella di altri reduci, la camera a gas di Dachau, quella accanto alla sala dei forni nel crematorio grande, era assai operativa negli ultimi mesi prima della liberazione del campo. Il Vanzini fu testimone anche degli esperimenti su cavie umane eseguiti nel laboratorio medico del lager, in quanto costretto a prelevare i cadaveri delle vittime dal laboratorio per condurli sempre ai forni crematori.

Il 29 aprile 1945 il campo di Dachau viene liberato. Enrico Vanzini è allo stremo ma riesce a sopravvivere. Solo molti mesi più tardi riuscì a tornare a casa da cui mancava da più di cinque anni: pesava meno di 40 chilogrammi e i suoi genitori non lo riconobbero. Del gruppo partito con lui per la campagna di Grecia nel 1939 è l’unico ad essere sopravvissuto. Dopo un iniziale silenzio, cominica a tenere conferenze gratuite presso scuole e teatri come testimone degli orrori dei campi di concentramento. Nel 2011 l’Associazione Marca Trevigiana con il patrocinio della Provincia di Treviso e della Regione Veneto ha prodotto un film documentario sulla sua storia distribuito gratuitamente alle scuole medie e superiori italiane. Il 28 novembre 2012 è stato insignito della Medaglia d’Onore dal Consiglio dei Ministri del Governo italiano.

La storia di Enrico Vanzini, da documentario è diventata un libro. "L’ultimo Sonderkommando italiano", curato da Roberto Brumat per Rizzoli, è la biografia di questo ragazzo di Fagnano Olona, oggi novantenne che vive in provincia di Padova. Il suo è un racconto drammatico, e non solo per la fatica di sopravvivere (56 kg persi in 7 mesi contendendosi coi topi i resti della spazzatura), ma per le percosse, per ciò che patì, vide e fu costretto a fare. Per 15 giorni lo obbligarono a diventare un Sonderkommando, uno delle squadre di internati incaricati di riempire dei cadaveri dei propri compagni i forni crematori. Fu allora che seppe cosa c’era in quella casa davanti alla quale tante volte l’avevano obbligato a trainare, assieme ad altri, dei carri pieni di morti. Fu allora che una mattina entrò nella camera a gas per prelevare sessanta ebrei assassinati la notte prima; e prima di metterli in uno dei quattro forni che le SS avevano destinato solo agli ebrei, dovette staccarli a fatica dal loro pietoso abbraccio finale. Il libro, 135 pagine, è in libreria a 16 euro, ma anche online e in formato ebook a 9,99.

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Pubblicato il 04 Novembre 2013
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