Come i due fratelli Khachia sono diventati pericolosi

Erano un saldatore e un aspirante pizzaiolo, sono diventati due lupi solitari in contatto con terroristi pericolosi

Khachia terrorismo

Da ragazzi di Brunello, alla propaganda per l’Isis. Succede tutto in un anno e mezzo in questa famiglia del Varesotto. A gennaio del 2015 Oussama Khachia viene espulso dall’Italia. Motivo: ha mandato in rete alcuni tweet che parlano bene del Califfato di Al Baghdadi, e collaborato alla scrittura di opuscoli di analisi sul territorio conquistato da Islamic State, elogiandolo. Saldatore a Castronno, è considerato un bravo ragazzo, ma con idee radicali.

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Oussama torna in Marocco, dai nonni, poi vola in Svizzera, dalla moglie. Spiega la sua posizione in questa intervista a Varesenews, realizzata via whatspp in quei giorni.

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“Farò ricorso contro l’espulsione, ma difendo il Califfato”

Viene espulso anche dalla Svizzera. Esce da facebook, compie il viaggio nei territori. A dicembre arriva alla famiglia, a Brunello, la notizia che è morto. E’ il padre, Brahimi, ad essere avvisato da una telefonata. “Avevano i documenti di mio figlio – afferma –  non mi hanno detto altro”. Forse è deceduto a Ramadi, in Iraq, ma non è chiaro come sia andata . Brahimi è una figura particolare. E’ molto religioso e ha un callo sulla fronte. Dalle intercettazioni il figlio sembra dipingerlo come vicino a idee radicali, ma non è indagato.

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Dopo quella data, 21 dicembre, la famiglia Khachia inizia a commemorare il proprio lutto. Brahimi ha 6 figli. Amina, la più grande, vive a Bergamo con la famiglia. Oussama è morto, poi ci sono altri due maschi di 23 e 22 anni, e due bambine.La famiglia lo difende.

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“Era innocente. Non sappiamo dov’è la salma di nostro figlio”

Abderrahmane vive nel mito e nell’esempio del fratello, è pieno di rabbia per quanto accaduto, lo dice nelle intercettazioni, ma su facebook continua a essere il solito ragazzo di sempre. Parla dell’Inter, della Champions League, posta video comici.

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Tutto precipita. In quello stesso momento, tra febbraio e marzo, le intercettazioni riferiscono delle sue conversazioni con l’amico lecchese Moutaharrik in cui i due dicono di voler colpire l’Italia, dichiarano disponibilità a compiere attentati. Eppure, sembra incredibile, il ragazzo sta seguendo un corso per diventare pizzaiolo.

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Sono lupi solitari, senza organizzazione. Abderrahmane non ha la preparazione ideologica del fratello, ma vuole emularlo. In due mesi passa dalla tifoseria calcistica, alle frasi sul farsi esplodere in vaticano. Jihadista pronti via. E’ questa improvvisa radicalizzazione che spaventa. Una volta trovato il “cattivo maestro”, Mohamed Koraichi, in contatto con l’Islamic State, cerca il viatico, la raccomandazione per andare in Siria. Il peggio è arrivato. Quanti altri ragazzi sono a  rischio oggi?

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 29 Aprile 2016
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