Paolo Villaggio e i suoi ricordi dolci amari

Ultimo appuntamento di "AronAscona: il teatro sull'acqua", terza edizione del Festival delle due rocche, diretto dalla scrittrice Dacia Maraini

«Qualcuno mi aiuta a raggiungere il palco?». La voce che risuona nella platea del teatro Rosmini di Borgomanero, domenica 15, è quella inconfondibile del ragionier Fantozzi, di Fracchia la Belva umana, del protagonista de ‘La voce della luna’. Insomma, è la voce di Paolo Villaggio. È l’ultimo appuntamento di ‘AronAscona: il teatro sull’acqua’, terza edizione del Festival delle due rocche, diretto dalla scrittrice Dacia Maraini e dall’omonima associazione, in collaborazione con Vedogiovane e il teatro San Materno di Ascona. L’acqua è stata protagonista con gli spettacoli sulla chiatta galleggiante di Arona, le escursioni sul lago e con la pioggia che ha costretto Villaggio a spostare ‘La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca’ da Arona a Borgomanero.
All’apparizione del grande attore, vestito con tunica e giacca bianchissime come i capelli e la barba incolta, il pubblico applaude, sorride. Villaggio, classe 1932, si muove con cautela, si appoggia al braccio di uno spettatore, ma si scatena da subito con battute e duetti improvvisati. Ne ha per tutti: i calvi, quelli con i tatuaggi, le signore che non vogliono dire la loro età. Raggiunge la Maraini, seduta in platea, e scambia con lei frasi ironiche sull’Italia e le sue bellezze. Tocca qualche tema molto serio. «Prima o poi faranno dei fortini sulle spiagge italiane, per sparare a quelli che arrivano con i barconi» dice Villaggio. E alla Maraini che constata che qualcuno in questi anni li avrebbe volentieri già fatti, l’attore replica: «Il problema sarà quando le persone come lei, che sembra buona, vorranno anche loro costruire questi fortini».
Poi l’attore sale sul palco e da lì continua a dialogare con le persone in sala, tra cui tantissimi giovani, che rispondono con entusiasmo.

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Ma lo spettacolo di Paolo Villaggio al Rosmini non è certo un monologo comico preconfezionato, o per lo meno non è così che lo propone agli spettatori del Festival. Dagli scambi comici l’attore passa ad un vero e proprio flusso di coscienza, in cui mischia ricordi, aneddoti, invenzioni, versi fantozziani e spunti biografici. Dalla sua memoria spuntano soprattutto i personaggi dell’infanzia. Il fratello gemello, i genitori, il portiere, la signora ricca alla quale la madre, veneziana laureata in glottologia, dava ripetizioni di tedesco. E poi il personaggio un po’ mitico del Salutatore. «Il Salutatore apriva la finestra alle sette e salutava pescatori e passanti. Ma tutti lo evitavano – racconta Villaggio – Allora, dietro suggerimento di quella carogna del nostro portiere, iniziò ad aspettare me e il mio gemello in ascensore, per essere salutato da noi. Era altissimo, forse due metri e cinquanta. Per quattro mesi si è presentato nell’ascensore quando noi salivamo, sperando che ricambiassimo il suo saluto. Ma noi niente, eravamo troppo timidi per farlo. Finché un giorno il mio gemello Piero, che stava sempre davanti per proteggermi, se lo è trovato vicinissimo, pupilla contro pupilla. ‘Perché non mi salutate mai?’ ci ha chiesto il Salutatore esasperato. ‘Ci scusi, ma noi non l’avevamo vista’ è stata la risposta assurda di mio fratello». Questa timidezza dei due gemelli secondo l’attore era dovuta all’invadenza tutta italica della madre. Villaggio ne parla con toni fantozziani, soprattutto quando si tratta dei primi approcci con le ragazze. «Erano tutte cesse, troppo grasse o troppo magre, e con certi nasi. Ma pure i ragazzi erano bruttissimi. E poi certi aliti». Ai tempi della sua adolescenza, i ragazzi si dividevano tra quelli che avevano fortuna con le ragazze e le accompagnavano fuori, e quelli che, come i giovani Villaggio e Fabrizio De André, passavano il tempo con i compagni della contestazione, magari al cineforum. Ed è lì che ogni tre mesi incombeva la ormai mitica ‘Corazzata Potëmkin’. 
Dopo quasi due ore di monologo, le parole di Villaggio tradiscono la stanchezza e la fragilità di questo grande personaggio. Il pubblico lo percepisce e si fa più silenzioso. E la commozione è lì dietro l’angolo, nel finale dove sul palco appare una foto in bianco e nero che ritrae l’attore con De André. Il protagonista dell’ultimo aneddoto regalato da Villaggio è invece il padre, astronomo e dotato di grande intelligenza. Prima di scendere dal palcoscenico, l’attore si rivolge alla platea e si commiata: «Siete brave persone, voglio rivedervi il prossimo anno».

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Pubblicato il 16 Settembre 2013
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