Una festa che viene ogni dieci anni, Casorate si prepara per San Tito
Nata nel 1926, la festa viene celebrata solo ogni dieci anni, coinvolgendo per giorni il paese, tra incredibili infiorate e tanti appuntamenti
Quell’ultima cifra della data – il 6 finale – è tenuta sotto stretta osservazione a Casorate Sempione: ogni dieci anni, nel sesto anno di ogni decade, il paese vicino a Malpensa celebra una festa straordinaria, la festa decennale – appunto – di San Tito, che si terrà dal 3 al 13 settembre.
Siamo al 2016 e si mette in moto la macchina organizzativa, che coinvolge Comune, Parrocchia e Pro Loco, per i diversi aspetti di competenza. Un insieme di momenti, sacri e profani, che animeranno per dieci giorni il paese, invaso – anche questa è tradizione – dalle coccarde di fiori artificiali, in particolare nei punti più caratteristici del paese, come la scalinata che sale alla piazzetta della chiesa parrocchiale.
La festa è stata celebrata per la prima volta nel 1926, ideata da don Luigi Mariani, allora parroco del paese. «Don Luigi arriva a Casorate nel 1919, intuisce la profonda divisione nel paese tra fascisti, socialisti e popolari» spiega don Stefano Venturini, da diversi anni parroco di Casorate (e della vicina Arsago). E allora reinventa e riscopre la tradizione di San Tito, diacono martire ucciso nel 426 d.C a Roma, le cui reliquie erano state portate a Casorate nel 1626: don Luigi vuole ricostruire la “unione delle mente e dei cuori”». Prendendo spunto dalla ricorrenza del 1926 don Luigi celebrò per la prima volta questa festa, divenuta poi decennale e che – quindi – sarà riproposta anche nel 2016.
Quest’anno l’amministrazione comunale tornerà a occuparsi direttamente della festa, che pure ha come “storico” organizzatore la Pro Loco e come primo promotore – ovviamente – la parrocchia. «Da mesi stiamo lavorando con Protezione Civile e Areu pèer la parte di gestione della sicurezza, anche sanitaria, che è l’aspetto che più compete al Comune» dice il sindaco Dimitri Cassani. Il primo cittadino comunque dice la sua anche su l’interpretaione della festa in generale: «Salvaguarderemo l’aspetto religioso, evitando baracconi e stand troppo invasivi».
Mimma Baila della Pro Loco spiega: «C’è un bel gruppo di ragazzi dello Spazio Giovani che si sta dando da fare, hanno impostato anche il sito internet della festa di San Tito. E stiamo preparando un libretto per presentare la storia della festa e dei fiori». Della tradizione della festa fa parte infatti anche la “competizione” tra gli abitanti delle diverse zone del paese: nel centro ogni vicolo e viuzza ha il suo gruppo di lavoro e prepara i propri ornamenti floreali, nelle zone di periferia invece ci si riunisce in aree più ampie. «Ognuno ha il suo piccolo segreto da mantenere su quanto sta organizzando. La festa nasce proprio dall’impegno delle singole vie del paese, più che non dalla Pro Loco o dal Comitato organizzatore» continua Baila.
Ricco il programma già preparato dal Comitato Organizzatore, che si aprirà alle 12 di sabato 3 settembre con i 10 colpi di cannone e il successivo aperitivo. Tra gli appuntamenti religiosi, la Messa con monsignor Negri (sabato 3, 17.30) e quella con il cardinal Scola (domenica 4, ore 10.30), ma anche le processioni, in particolare nelle due domeniche della festa. Sul versante del profano, spettacoli pirotecnici, pranzi comunitari e “risottate”, concerti corali (Coro Divertimento Vocale) e di musical classica, cabaret. E ancora alcune mostre, tra cui quella curata da Massimo Conconi mostra dedicata agli anni “del 6” (con riferimenti alla storia mondiale e del paese, negli anni in cui si celebra la festa di San Tito nelle varie decadi dell’ultimo secolo).
Su tutte le tradizioni, però, sta il significato profondo della festa, richiamato da don Stefano Venturini nel suo articolo sull’informatore parrocchiale: “L’intuizione del don Luigi Mariani che volle questa festa per il 1926, mantiene intatti gli stessi motivi di fondo. Infatti don Luigi volle questo evento perché si accorse della frattura presente in paese, tra socialisti e nazionalisti, tra contadini e classi emergenti, tra cattolici praticanti e non praticanti. Insomma: una società frantumata, nella quale era doveroso cercare un punto d’incontro, un elemento unitario ed identitario. Questo bisogno resta sempre vero“.
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