Gli ammortizzatori sociali in Italia sono un modello assistenzialista

Se ne è parlato in un convegno organizzato dall'ordine dei consulenti del lavoro. Vera Stigliano: «Questo modello ha contribuito alla lenta ma inesorabile atrofia del sistema»

vera lucia stigliano

Si è parlato di cassa integrazione e di ammortizzatori sociali nel corso dell’ultimo convegno organizzato dall’Ordine dei consulenti del lavoro e dall’Associazione nazionale consulenti del lavoro – unione provinciale (Ancl-up) di Varese al centro congressi Ville Ponti di Varese: «Gli ammortizzatori sociali dal 2012 ad oggi sono stati oggetto di diversi rimaneggiamenti – spiega Vera Stigliano (foto sopra), presidente dell’Ordine Consulenti del Lavoro di Varese- si pensi alla mobilità, ai contratti di solidarietà, alla nuova Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego) od alla recente riforma della cassa integrazione: un percorso di trasformazione radicale dell’intero impianto che si è reso necessario per la fisiologica impossibilità di proseguire dello stesso. L’intero impianto degli ammortizzatori poggiava sul valido principio del temporaneo sostegno alle aziende in crisi e conseguentemente dei lavoratori espulsi dal mercato del lavoro: tuttavia a tale principio non è mai stata affiancata una seria e reale strategia finalizzata da una parte al rilancio delle aziende in crisi e, dall’altra, mirante alla riqualificazione dei lavoratori che, per competenze, età o altro, erano da considerarsi difficilmente ricollocabili sul mercato nel breve-medio termine. Infine un fattore sul quale invito sempre a riflettere è rappresentato dall’aspetto “culturale” nel quale sono cresciute almeno le ultime due generazioni di lavoratori; mi riferisco al modello marcatamente assistenzialista del nostro Paese che, pur avendo distribuito vantaggi nell’immediato, ha contribuito alla lenta ma inesorabile atrofia delsistema: assenza di incentivi sia economici che motivazionali per i protagonisti del mondo del lavoro. Stiamo purtroppo pagando lo scotto per la miopia di chi ci ha governato».

Per quanto concerne, invece, i contratti di solidarietà espansiva (quelli che consentono ai datori di lavoro di incrementare gli organici attraverso una riduzione stabile dell’orario di lavoro e della retribuzione di ben definite categorie di dipendenti, con la contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale) queste le riflessioni di Ferdinando Butto, presidente di Ancl-up Varese: «È prematuro trarre conclusioni o emettere giudizi, tuttavia si ha l’impressione che le considerazioni che per oltre 30 anni hanno bloccato lo sviluppo dell’istituto, permangano tutte: non è assolutamente facile, soprattutto nell’attuale fase di crisi, far diminuire stabilmente l’orario a chi è in forza senza alcun tangibile vantaggio economico, sulla base di un progetto di un aumento dell’occupazione che verrebbe “pagato”, nella sostanza, in gran parte attraverso la riduzione di orario dei singoli lavoratori. E poi lo stesso meccanismo “contingentato” per cui il datore di lavoro viene facilitato nella fruizione delle agevolazioni soltanto per le ore complessive di riduzione, sembra “non spingere” ad incrementare l’organico e a preferire altri incentivi notevolmente più corposi. Minore perplessità sembra scaturire dalla disposizione sul “ricambio generazionale”, ma qui occorrerà trovare i soggetti disponibili e, soprattutto, anche le motivazioni del datore di lavoro (imprenditore piccolo o medio) che, magari, non hanno voglia di rinunciare, sia pure parzialmente, a soggetti dotati di esperienza e professionalità. Tali desideri potrebbero anche trovare una sorta di complicità nel vecchio dipendente che, agli sgoccioli della sua attività lavorativa, potrebbe non essere interessato ad un pensionamento anticipato sia pure parziale, poiché andrebbe a perdere una serie di possibili “benefit” non legati alla retribuzione vera e propria. Concludendo, sono del parere che in un momento di crisi bisogna sollecitare le aziende ad investire sul personale dipendente attraverso l’introduzione di un meccanismo di agevolazioni contributive e fiscali vere, del 100%, almeno quinquennali, che possano consentire alle aziende di ridurre i costi favorendo l’occupazione. Si potrebbe partire dalla reintroduzione della assunzioni di lavoratori in mobilità provenienti da piccole aziende (cosiddetta piccola mobilità abolita da alcuni anni) e reintroducendo le assunzioni di disoccupati di lungo periodo, ex legge 407/90, senza trascurare gli ammortizzatori sociali ultimamente riformati, ma in una direzione non proprio all’altezza delle aspettative, anzi, direi che dal punto di vista degli adempimenti connessi la gestione è stata ancor più complicata, altro che semplificazione».

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Pubblicato il 30 Giugno 2016
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