Lidia Macchi, ancora 6 mesi di indagine
Disposta una nuova proroga. Il Pg Manfredda in tribunale a Varese. Prova calligrafica su un altro ex amico di Lidia
Non finisce di riservare sorprese l’indagine su Lidia Macchi, la ragazza uccisa nel 1987 a Cittiglio, sulla cui morte è stata riaperta un’indagine due anni fa dalla procura generale di Milano. La pg Carmen Manfredda, che guida gli investigatori della polizia, ha ottenuto dal gip di Varese ancora 6 mesi di indagine: una proroga necessaria, si apprende da fonti vicine alla procura, perché i tempi di indagine sui resti della povera ragazza, riesumati dal cimitero di Casbeno, e sugli oggetti rinvenuto nella campagna di scavi al parco di Masnago effettuati per cercare l’arma del delitto, sono ancora lunghi.
Mentre rimane in carcere Stefano Binda, il 50enne accusato del delitto dopo 27 anni, detenuto a Milano, nel carcere di San Vittore, dove è dimagrito di più di dieci chili. L’uomo, arrestato nella sua casa di Brebbia, si dichiara innocente, ma gli inquirenti lo accusano e portano sostegno della loro tesi gli indizi contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare che dallo scorso gennaio inchioda Binda in una cella.
Oggi la procuratrice Carmen Manfredda era in procura a Varese per una serie di incontri con i magistrati varesini, ma si è trattato probabilmente di una visita non direttamente legata alla vicenda di Lidia Macchi anche se nulla è trapelato. La Manfredda si è limitata a salutare i giornalisti che l’attendevano nel cortile al termine sulla visita.
Durante questa estate le indagini non si sono mai fermate.
La polizia sta per iniziare a scavare al Sass Pinì di Cittiglio, dove fu trovato il corpo.
Inoltre è stata effettuata una prova calligrafica nei confronti di Roberto Bechis, uno degli amici di Binda, un ragazzo che all’epoca era vicino a Lidia e che fu uno dei tre a trovare il cadavere a Cittiglio. Il risultato è stato negativo. Per la procura generale e i suoi consulenti rimane solo Stefano Binda ad avere una calligrafia compatibile con quella della lettera inviata pochi giorni dopo al morte di Lidia ai genitori, e che secondo le accuse sarebbe la descrizione della scena del delitto.
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Ma gli inquirenti non hanno il senso del ridicolo? Cosa intendono fare? Rivoltare tutta la Provincia di Varese? Le avevano le prove! Le hanno buttate via!
Inoltre: per dire che la scrittura della lettera IN MORTE DI UN’AMICA è compatibile con la grafia di Binda (ci sono altri scritti trovati sulla sua agenda di quegli stessi giorni) bisogna avere le traveggole.
Rimettano in libertà il povero Stefano Binda, che non c’entra nulla con questa storia!
p.s.: sono mesi che cerco senza successo il testo dell’ordinanza di custodia cautelare firmato dal Gip Anna Giorgetti. So che i giornali ne sono in possesso. Vi scongiuro: potete metterlo a disposizione dei lettori (basta un link)?