Non è anarchia, si chiama libertà
La risposta a una lettera al direttore dove si parla dei commenti Facebook dopo le tragedie. Odio, rancore e violenza si diffondono, ma la responsabilità non è dei social
Cara Silvia,
siamo nell’era della comunicazione e della condivisione, ma anche in quella del paradosso. La tua lettera ne è un esempio perfetto. Non entro nel merito della vicenda, anche perché è solo uno dei tanti esempi possibili.
Certo, tu ti spingi un po’ oltre il limite quando provi a formulare alcune giustificazioni per chi ha procurato l’incidente mortale, ma il vero punto non è quello.
I social vanno a finire sul grande bancone degli imputati e sembrano essere loro i colpevoli di tanto odio e rancore che si respira. Sono quelli stessi social che danno un accesso facile alla Rete e quindi anche la possibilità di parola a tutti. Facebook in particolare è una grande piazza dove chiunque può entrare e dire la sua. Non è anarchia, si chiama libertà. È una ricchezza importante e dobbiamo sempre tenerlo presente. Le regole ci sono, e noi che amministriamo la pagina cerchiamo di farle rispettare. Su Varesenews, che sia il giornale o sia Facebook non si fanno differenze. Non si accetta l’incitazione alla violenza, al razzismo, alle discriminazioni. Non sempre riusciamo a contenere e moderare tutti i commenti. Questo è un prezzo alto da pagare, ma siamo convinti che valga comunque la pena di correre questo rischio per diverse ragioni che spiego dopo.
Le altre regole le mette la legge. Le persone che scrivono spesso non sono consapevoli che sono penalmente e civilmente perseguibili. Iniziano ad esserci indagini e processi anche solo per i commenti postati su Facebook.
Ma veniamo al punto più delicato. L’era della connessione e condivisione porta anche a grandi paradossi. Il primo lo viviamo noi editori e giornalisti. Forniamo contenuti alle grandi piattaforme tecnologiche che poi sono i nostri principali competitor. Loro, Facebook e Google in cima, assorbono oltre il 70% delle risorse che produce la Rete lasciando di fatto le briciole a tutti gli altri.
Il paradosso però non riguarda solo noi “addetti ai lavori”, ma anche tutti i cittadini a prescindere dall’età anagrafica. Dentro i social ci siamo noi, gli individui, le azienda, le associazioni, le istituzioni. Noi con le nostre storie, le nostre culture, le nostre bellezze, le nostre intelligenze, i nostri limiti, le nostre “miserie”, le nostre debolezze e fragilità. Facebook in particolare sta permettendo di far emergere tutta questa umanità e, insieme con questa, anche una discreta disumanità.
Questo, a volte, ci spaventa, ci scatena dubbi sul senso della democrazia e della libertà, ci preoccupa perché la società che emerge spesso non ci piace, ci fa perfino orrore. Conoscere la realtà provare a capirla, ad analizzarla è una grande responsabilità, ma non c’è nessuna altra strada per comprendere che il mondo è formato da ognuno di noi e solo la propria consapevolezza può migliorarlo. Questo attraverso le scelte individuali e il nostro contributo a quelle collettive.
Nella tua lettera racconti la tua professione di educatore e quindi conoscerai bene questi processi. Come conoscerai bene il fatto che il paradosso diventa parte di ognuno di noi. Se rileggi le tue ultime righe potrai comprendere quanto sia alto il rischio e ci sia entrata anche tu. «Ciò che mi ha allarmata è l’aver visto tra i commenti nomi di persone che conosco, che sono madri e padri…io sono educatore dei loro figli, e purtroppo ho pensato che ora capisco molte cose. Cosa possiamo aspettarci dai “giovani” se questo è un mondo di giudizi delle “bestie”?»
Sta a noi, a ognuno di noi, costruire quel futuro migliore, malgrado i “leoni da tastiera” come li chiami tu. A tutti ci scappa il giudizio facile. Anche quando pensiamo di avere tutte le ragioni del mondo dobbiamo fare grande attenzione perché restiamo immersi in quell’era del paradosso dove i rischi si moltiplicano.
Grazie per la tua lettera e per il tempo che hai dedicato a una questione spinosissima e molto delicata. Il tuo contributo ci ha permesso di tornare a parlare dei “pericoli” dei social e di altro.
Buon lavoro e buon tutto.
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