Diventare manager può essere un gioco da ragazzi
Alla Liuc gli studenti imparano anche grazie ai business game. Aurelio Ravarini: «Riescono a sviluppare competenze trasversali, la capacità di lavorare in team e si responsabilizzano»
Affermare che attraverso il gioco si apprende più facilmente, non è certo una novità. Lo fanno gli animali in natura, lo fanno i bambini in famiglia e a volte all’asilo. Nel gioco inoltre si può sbagliare. Anzi, si deve sbagliare per imparare. Altro concetto interessante che nella cultura europea e in particolare in quella italiana trova scarsa accoglienza. C’è però un momento della vita, che coincide più o meno con l’età scolastica, dove il gioco come modo per apprendere viene quasi completamente dimenticato.
Carlo Purassanta, amministratore delegato di Microsoft Italia, intervenuto all’assemblea dei giovani industriali di Varese, ha detto due cose molto interessanti frutto dell’osservazione di ciò che accade nella Microsoft House di Milano: i bambini conoscono la tecnologia meglio dei loro educatori e, quando sono coinvolti personalmente in quello che fanno, si appassionano.
L’errore che si fa è pensare che queste due osservazioni valgano solo per i bambini. In realtà apprendere mettendosi in gioco è un metodo che dà i suoi frutti anche tra gli adulti come da qualche anno a questa parte dimostrano i business game organizzati dall’Università Liuc di Castellanza a cui hanno partecipato migliaia di studenti universitari e delle scuole superiori.
In questi giorni all’ateneo di Castellanza è stato presentato Play4Guidance, progetto europeo finanziato con fondi Erasmus plus (il programma europeo per l’istruzione e la formazione), che coinvolge università e scuole di 5 paesi europei: Italia, Germania, Irlanda, Grecia e Turchia. Tra i coordinatori del progetto c’è Aurelio Ravarini, ricercatore di sistemi di elaborazione delle informazioni della Scuola di ingegneria industriale della Liuc.
Professore, si può imparare giocando anche in età adulta?
«Certo, tra i giochi dedicati ai manager è famoso quello della birra (beer game, ndr), ma ci sono molti giochi da tavolo che aiutano a sviluppare alcune competenze indipendentemente dall’età».
Il vostro business game che competenze sviluppa?
«Con l’introduzione nelle aziende dell’automazione e della robotica, per chi cerca lavoro non bastano più le competenze specifiche, sono sempre più richieste quelle cross-disciplinari e trasversali. Per esempio, la capacità di lettura e di analisi dei dati, che va al di là della conoscenza di una sola disciplina, così come la capacità di elaborare un pensiero sistemico. Prendere decisioni complesse e spesso in modo creativo è una caratteristica che hanno le persone, non certo le macchine. Il business game aiuta a svilupparle in un modo coinvolgente».
Quanto conta nell’apprendimento avere la possibilità di sbagliare?
«Nella vita e nella nostra esperienza quotidiana sbagliare ha un valore perché dai propri errori si impara. Avere un’altra chance è molto importante, e il gioco te la dà. C’è un altro aspetto altrettanto importante in questo strumento, l’autovalutazione».
Lo studente si dà un voto?
«Alla fine dell’attività il manager oltre a un risultato sull’andamento della propria impresa ha alcune tabelle di valutazione delle competenze. L’abbiamo testato su diverse centinaia di studenti e risulta ragionevolmente preciso e attendibile. L’autovalutazione responsabilizza molto il giocatore».
Il filosofo Nassim Taleb ha scritto un libro interessante dal titolo “Il Cigno Nero”, intendendo con questa definizione un evento raro, di grandissimo impatto e prevedibile solo a posteriori. Pensiamo all’11 settembre o al fallimento della Lehman Brothers. I vostri businnes game li prendono in considerazione? E in questi casi cosa fa la differenza tra il fallimento e la sopravvivenza di un’impresa?
«Il giocatore all’inizio di ogni mese prende delle decisioni. Nel gioco noi inseriamo delle situazioni impreviste con un tempo limitato per risolverle. Per esempio: il crollo improvviso del prezzo di una materia prima, lo sciopero dei trasporti che non permette di consegnare o ricevere delle merci. Ciò che fa la differenza è la costruzione e quindi la conoscenza del modello della propria impresa. Più le decisioni prese sono coerenti con quel modello e più le probabilità di farcela aumentano. Il buon manager conosce la sua azienda e quindi prende decisioni adeguate anche in tempi brevi perché riesce a gestire meglio il panico. Il cattivo manager invece improvvisa e di fronte all’imprevisto prende decisioni non coerenti, più dettate dalla paura che non dalla conoscenza del modello che ha creato».
Il mondo accademico è ingessato e legato alle tradizioni. Come sono stati accolti i giochi nell’ambiente universitario?
«Benché esistano da tempo, sono poco utilizzati. Si è legati molto al modello della lezione cattedratica frontale, modello difficile da scardinare. È un problema culturale che ha bisogno di tempo come tutti i processi di cambiamento. Di certo noi possiamo dire sulla base dell’esperienza che i business game, oltre a sviluppare nello studente quelle capacità di cui abbiamo parlato, lo sollecitano a lavorare in team, ma soprattutto lo coinvolgono in prima persona».
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