Il lupo è tornato ma non c’è da aver paura
Il ritrovamento della sua carcassa nei pressi di Malpensa è un evento storico e positivo, se non per la triste fine dell'animale morto in seguito all'investimento di una macchina lungo la 336
Era un magnifico e possente esemplare di lupo. Non vi è alcun dubbio e nemmeno nulla da temere. Il ritrovamento della sua carcassa nei pressi di Malpensa è un evento storico e positivo, se non per la triste fine dell’animale morto in seguito all’investimento di una macchina lungo la 336 che porta all’aeroporto. «È stato investito lo scorso novembre – ha spiegato l’assessore Specchiarelli – ma lo diciamo solo oggi poiché prima abbiamo voluto avere la certezza e abbiamo fatto effettuare una serie di esami da istituti specializzati».
Molte informazione su chi era e cosa ci facesse quel lupo in provincia di Varese le abbiamo già raccontate: di straordinario, oggi, ci sono però le immagini fotografiche del ritrovamento mostrate durante la conferenza stampa organizzata dalla Provincia di Varese.
Si tratta di un evento straordinario innanzitutto per un dato storico: erano 150 anni che non apparivano traccia di lupo nella nostra provincia (salvo rare eccezioni ndr), sebbene ci siano chiare e documentate testimonianze del fatto che un tempo, parliamo di secoli fa, questo territorio era per questa affascinante specie un habitat ideale. Secoli di repressione e il mutamento ambientale lo avevano cacciato verso altre zone.
Si tratta anche di un evento positivo sotto molti punti di vista. Innanzitutto, è bene specificarlo, questi animali, non costituiscono un pericolo per l’uomo. Il professore dell’Università dell’Insubria Adriano Martinoli, il responsabile dell’ente faunistico per la Provincia di varese Danilo Barattelli, ma anche l’assessore all’ambiente Bruno Specchiarelli insieme al sindaco di Somma Lombardo Guido Colombo hanno tenuto fortemente a specificare proprio questo concetto: non esiste nessun motivo per il quale fare allarmismo.
Quella bestia non avrebbe osato nemmeno avvicinarsi all’uomo. Secoli e secoli di persecuzione hanno insegnato ai lupi ad avere profondamente paura dell’essere umano.
Lo ha detto molto chiaramente il professor Martinoli: «Teniamo conto che la storia ci racconta di un fortissima persecuzione di questi animali. In Francia venne addirittura creato un corpo militare apposta per cacciare il lupo. È per questo che questi animali gli stanno alla larga: in tutta Europa da decenni e decenni non abbiamo nessuna notizia di alcun tipo di aggressione nei confronti dell’uomo e anche la convivenza con allevamenti di altri animali è dimostrato che si può raggiungere con alcuni accorgimenti».
Ed è solo compreso questo concetto che ci si può concentrare sulla positività del ritrovamento nei pressi di Malpensa.
I biologi e chi studia la fauna e la flora del territorio, sanno bene quanto sia positivo da un punto di vista ambientalistico che quel lupo si sia spinto fino a qua. Ciò significa che il territorio presenta ancora caratteristiche naturali e faunistiche importanti. Inoltre è un segnale del fatto che il corridoio biologico rappresentato dall’asse del Ticino sta funzionando. Si tratta di un percorso biologico che permette il mantenimento e il passaggio delle specie animali, un fattore naturale sul quale le istituzioni, anche la stessa Provincia di Varese, stanno investendo ingenti risorse. Ovviamente, come una rondine non fa primavera, possiamo altrettanto dire di questo ritrovamento: non fa della nostra provincia una zona di lupi.
Dato che si tratta di un unico individuo, purtroppo deceduto, non è possibile considerare l’area una “zona di presenza” della specie (cosa che comporterebbe l’insediamento di branchi, o comunque di individui che si sono riprodotti e insediati stabilmente), bensì un area di potenziale interesse, anche grazie all’incrementata presenza di ungulati selvatici negli ultimi anni, elemento che evidenzia certamente delle ottime potenzialità per il futuro.
Il comunicato della Provincia:
Un’analisi del DNA effettuata dal Laboratorio di Genetica dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha confermato che si tratta di un lupo appartenente alla popolazione italiana.
Il protocollo di analisi del DNA utilizzato da ISPRA ha previsto l’analisi di 12 loci microsatellite autosomici (12 STR), di 4 microsatelliti localizzati sul cromosoma Y (Y-STR) e di un frammento di 250 paia di basi della regione di controllo del DNA mitocondriale (mtDNA CR): un confronto con analoghe sequenze provenienti da altri lupi italiani disponibili presso ISPRA ha permesso di classificare il lupo come appartenente alla popolazione italiana e di identificarlo LUPO W1435M, maschio. È da circa un secolo che individui di questa specie non erano segnalati in quest’area planiziale e da oltre 200 anni nella zona di Somma Lombardo.
Ulteriori approfondimenti svolti in collaborazione con il Centro Conservazione e Gestione Grandi Carnivori e il Wildlife Biology Program, Department of Ecosystem and Conservation Sciences, dell’Università del Montana (USA) hanno ulteriormente precisato l’origine dell’animale, che sarebbe originario dell’arco alpino occidentale. Si può quindi presumere che l’animale sia giunto nel sito dove purtroppo è stato investito da un auto provenendo da nord, lungo l’asta del fiume Ticino.
Il lupo in queste aree era una presenza naturale e ben radicata per il quale abbiamo informazioni storiche antiche anche grazie allo storico Mario Comincini che nel 1991 ha dato alle stampe un libro dedicato alla storia del lupo nell’Italia settentrionale: nel 1462 le cronache riportano la presenza della specie a Sesto Calende, lupi provenienti da nord, nel 1792 si segnala la presenza anche nell’attuale comune di Somma Lombardo.
Dato che si tratta di un unico individuo, purtroppo deceduto, non è possibile considerare l’area una “zona di presenza” della specie (cosa che comporterebbe l’insediamento di branchi, o comunque di individui che si sono riprodotti e insediati stabilmente), bensì un area di potenziale interesse, anche grazie all’incrementata presenza di ungulati selvatici negli ultimi anni, elemento che evidenzia certamente delle ottime potenzialità per il futuro.
Si sottolinea che il lupo è una specie rigorosamente protetta secondo la normativa internazionale (All. II della “Convenzione di Berna” del 1979), comunitaria (All. II e IV della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”) e nazionale (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, n. 157/92).
La Provincia di Varese si unisce a quanto già espresso dalla componente scientifica a livello nazionale, in particolare dall’Associazione Teriologica Italiana (che comprende tutti gli esperti di Mammiferi a livello nazionale), e rammenta che il lupo rappresenta una importante componente dell’ecosistema: posto al vertice della catena alimentare, è una presenza significativa per il mantenimento degli equilibri naturali degli ecosistemi di cui è parte.
Il lupo è una specie che necessita di un ambiente naturale complesso, ricco e differenziato: la sua protezione passa pertanto attraverso la salvaguardia dell’intera biodiversità dell’habitat in cui vive. Tutelare il lupo significa, in definitiva, difendere l’intero ecosistema e l’esistenza di un ambiente più integro. Al di là degli aspetti ambientali, il lupo è anche un importante elemento nella cultura dell’uomo e un animale simbolo della natura italiana, in grado di suscitare da sempre interesse. Oggi la sua “straordinaria” presenza, in grado di appassionare e attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti di tutte le componenti dell’ecosistema, è una opportunità per facilitare l’adozione di politiche di gestione del territorio più attente ai temi ambientali.
La conservazione del lupo è quindi una sfida che il nostro paese deve affrontare, anche in un ottica transnazionale, in virtù della posizione geografica e strategica che il nostro territorio alpino ricopre nell’ambito dei fenomeni di ricolonizzazione in atto.
Proprio in questo contesto, si intende ribadire che la ricomparsa del lupo è un processo naturale, frutto dell’evoluzione sociale, economica e culturale che ha caratterizzato in particolare le aree d’alta e media quota del centro e nord Italia a partire dall’ultimo dopoguerra. Ridotto ad un nucleo residuo di circa 100 esemplari sopravvissuti nell’Appennino Centro-meridionale all’inizio degli anni Settanta, il lupo è stato in grado di aumentare la propria area di presenza grazie alla sua elevata capacità di adattamento e dispersione e, soprattutto, alla progressiva trasformazione ambientale dei territori montani (in primis: abbandono della montagna e aumento degli ungulati selvatici). Il risultato di questo insieme di caratteristiche intrinseche alla specie e di cambiamenti nell’utilizzo del territorio da parte dell’uomo ha portato alla ricolonizzazione di gran parte dell’Appennino, verso sud (Calabria) e verso nord (Liguria).
Il ritorno del lupo sulle Alpi ha quindi avuto inizio circa 20 anni fa, attraverso la Liguria e l’Arco Alpino occidentale italo-francese: i primi individui sono apparsi in area alpina, proprio sul confine con la Francia, nel 1987; i primi branchi sono stati segnalati sulle Alpi Marittime a partire dal 1992 e successivamente la specie si è spontaneamente mossa verso est, facendo la sua ricomparsa in zone della Francia, della Svizzera e della Lombardia da cui era assente da circa un secolo. Le analisi genetiche condotte su esemplari ritrovati morti, come questo, e su campioni organici raccolti nell’arco di 20 anni hanno documentato il passaggio tra l’Appennino settentrionale e le Alpi di circa 8-16 individui fondatori. Il percorso di ricolonizzazione dell’Arco Alpino sud-occidentale è stato peraltro confermato, più recentemente, anche mediante l’utilizzo di collari radio-emettitori posti su alcuni individui per motivi di ricerca scientifica. È evidente come il futuro del lupo in Italia e in Europa sia strettamente dipendente e non possa prescindere dall’instaurarsi di un positiva convivenza con l’uomo. È infatti indubbio che la presenza della specie in un territorio può risultare conflittuale, soprattutto a causa dei danni che essa può causare alla zootecnia ed occorre quindi mettere in campo azioni per la conoscenza e la conservazione della specie, per la prevenzione dei danni al bestiame e per l’attuazione di un regime di coesistenza stabile tra lupo ed attività economiche.
Citando Luigi Cagnolaro, già direttore del Museo di Storia Naturale di Milano “Non esiste né il lupo buono né il lupo cattivo. Esiste il lupo, predatore, che deve poter vivere in armonia con il suo ambiente. Sta a noi garantirglielo, in accordo con le nostre ragionevoli esigenze, anche per la miglior qualità della vita, di cui la presenza del selvatico sarà una significativa componente”.
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