Il sogno di un paese: riaprire il cinema chiuso da anni
Per tre generazioni è stato un luogo di crescita, tra proiettore e borderò. Con i western approvati dalla Diocesi e i cineforum impegnati. L'edificio se ne sta oggi silenzioso e vuoto nel cuore del paese: ora ci si sta mobilitando per riattivarlo
«Ho cominicato a bazzicare il cinema dal 1965. Era una gestione classica da sala parrocchiale: c’era un protezionista, un addetto alla cassa e poi le varie “maschere” che si occupavano del resto. Io andavo a cercare le pellicole dal distributore». Franco Russo per anni è stato poi parte dei volontari che facevano girare il cinema a Casorate Sempione. E oggi è di nuovo della partita, oggi che in paese si torna a sognare di vedere attiva la sala cinematografica (nella foto sopra: una ipotesi della sala rinnovata).
L’edificio sta ancora dentro al centro dell’abitato, appena appartato su una stradina che sale sulla collinetta dove sta la torre dell’acquedotto. Molta sostanza, poca forma, all’esterno: un essenziale parallelepipedo messo su negli anni Cinquanta, con molta passione e impegno di tutti i parrocchiani (giacché alla parrocchia apparteneva e appartiene ancora oggi). Fatti muri, allestite le poltroncine in legno, sistemati i tendaggi all’ingresso, il cinema ha aperto nel 1956, con tanto di arcivescovo presente, Giovanni Battista Montini futuro Paolo VI. E ai muratori e carpentieri – molti volontari – hanno lasciato posto gli addetti alla gestione. «Saremo stati una quarantina di volontari impegnati, almeno» continua Franco Russo. Il modello è quello che – tra irrigidimenti burocratici e una distribuzione che spesso premia le multisale – ancora anima vari cinema parrocchiali in giro per l’Italia, alcuni di grande qualità (impossibile non citare il Teatro delle Arti a Gallarate, animato anche da un apposito centro culturale).
Il cinema si chiamava ufficialmente Luisiano, come omaggio al patrono della gioventù (perché era pensato anche come “propaggine” dell’oratorio”) e al primo animatore, don Luigi Mariani. «Don Luigi curava un po’ la programmazione, poi dopo ho preso io l’impegno di andare dal distributore, che era di estrazione diocesana, con una selezione adeguata dei film». Allora – tra anni cinquanta e sessanta – “tiravano” i western, ma si proiettavano anche i film musicali: erano le pellicole che hanno fatto crescere generazioni d’italiani, soprattutto in provincia dove spesso i cinema parrocchiali erano una delle poche alternative tra cui scegliere.
Il proiettoreI documenti d’epoca tirati fuori dai cassetti raccontano però anche un certo impegno intellettuale che era di quegli anni. Con «gli incontri culturali-cinematografici», il cineforum organizzato in collaborazione con alcuni giovani già impegnati alle Arti di Gallarate. Tra un’Arpa birmana”, un dittatore di Chaplin, un Settimo Sigillo, salta fuori – anno 1962 – anche l’immancabile Eisenstein, con “La corazzata Potemkin” non ancora ridicolizzata dal liberatorio urlo del ragionier Fantozzi e accompagnata a Casorate da «un lungometraggio-antologia di tutte le opere di Eisenstein». La rivolta del personaggio di Paolo Villaggio era ancora di là da venire, sacrosanta nel suo irridere le liturgie, anche se poi diede il la al disimpegno e – peggio – al disprezzo per qualcosa che richieda un po’ di sforzo. Certo, fa un po’ effetto leggere sui programmi di allora che anche al cineforum di Casorate «gli spettatori si assumono l’obbligo e l’impegno di partecipare al dibattito».
Altri tempi, indubbio. Oggi è presto per pensare alla programmazione, prima c’è da discutere dell’impresa ardua di mettere a norma il cinema, definire un modello di gestione che dia garanzie all’investimento. «Il cinema è un elemento che ha caratterizzato per tanti anni il paese, soprattutto tra i giovani, una realtà molto sentita» spiega don Stefano Venturini, che oggi regge la parrocchia di Casorate, proprietaria dell’immobile.
Durante la demolizione dei vecchi arrediA gennaio parroco, sindaco e cittadini si sono messi intorno a un tavolo, per presentare una proposta credibile alla Curia, i cui uffici «hanno come compito principale salvaguardare la vita economica presente ma anche futura delle comunità, sostenendo il parroco presente e quello futuro», spiega ancora don Venturini. Tradotto: niente passi avventati e garanzie che l’ipotetico cinema non si trasformi in un peso insostenibile dal punto di vista finanziario. L’impegno richiesto è notevole, per mettere a norma l’edificio – che ha cessato le funzioni negli anni Ottanta – rinnovarlo esteticamente, pensarne la gestione e la programmazione. «La parrocchia non ha possibilità di mettere soldi, serve un impegno dei cittadini, i privati, magari con un crowdfunding o con la ricerca di sponsor» aggiunge il sindaco Dimitri Cassani. Senza dimenticare anche i fondi di sostegno allo spettacolo. «Stiamo cercando la forma giuridica migliore per consentire di intervenire ma anche di tutelare la parrocchia». Quanti soldi servono? Un minimo di 400mila euro per rimettere in sesto e accessibile (anche solo come salone o teatro), che salgono a 500mila per arrivare ad attivare anche le proiezioni.
È comunque una sfida interessante, per un paese. Gli esempi di piccoli cinema che restano aperti (post passaggio al digitale) non sono pochi, anche se forse in territori più isolati, lontani dai multisala che si sono “mangiati” i piccoli cinema autonomi. «È un sogno, noi ci crediamo».
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