Marco Confortola, una vita a quota 8000

L'alpinista nato in Valfurva racconta la sua passione per la montagna, i tragici momenti vissuti sul K2 e la perdita dell'amico Sic

Nato a Valfurva nel 1971, Marco Confortola è sempre stato circondato da cime innevate e pareti scoscese; portando da piccolo le pecore dello zio al pascolo ha scoperto la libertà che trasmette la montagna, il silenzio, la pace interiore.
La calamita della passione che lo attrae verso il ripido è troppo forte, a 19 anni ne fa il suo lavoro diventando la più giovane Guida Alpina d’Italia e, tre anni dopo, la più giovane d’Europa. Tra le sue più importanti salite, oltre a grandi pareti nord della sua valle, si contano sette cime oltre gli 8.000 metri, nonostante la sventura capitatagli al K2, dalla quale ha saputo però rialzarsi da bravo "crapon" qual è.
Guida Alpina, maestro di sci, tecnico all’elisoccorso, Marco trova anche il tempo per raccontarsi in conferenze dedicate ai “bocia” e al valore della vita.
 
Marco, torniamo al K2: cosa accadde?
«Al K2 sono tornato nel 2008 dopo aver mancato la vetta nel 2004. Dopo settimane di brutto tempo ad aspettare al campo base siamo partiti tutti; tutte le spedizioni insieme per tentare la vetta. Eravamo abbastanza lenti sia per la molta gente sia per la morte di un alpinista serbo. Allora mi sono staccato dalle corde fisse e ho superato un po’ di gente, ma molti altri dotati di ossigeno, che io non uso, sono arrivati in vetta prima di me. Ho conquistato la vetta verso le sei, ho scattato due foto e poi subito giù, raggiungendo Wilco van Rooijen e Jesus (Gerard McDonnel). Durante la discesa ci siamo fermati a bivaccare per non rischiare di cadere al buio, nel frattempo, il grosso seracco sopra il Collo di Bottiglia ha ceduto provocando la morte di 11 persone. Io e Wilco ci siamo salvati: proprio l’altro giorno è venuto a trovarmi e ricordando quei momenti abbiamo riconfermato i nostri ricordi. Abbiamo rivissuto anche il soccorso prestato, a 8300 metri e dopo una notte all’addiaccio, a due coreani rimasti appesi alle corde per miracolo e mezzi moribondi. Questo, e non solo, hanno probabilmente "contribuito" all’amputazione delle dita dei piedi che ho subito al ritorno in Italia».
 
Dopo quella disavvenutra però, lei è riuscito a tornare in pista.
«Si: non potevo piangermi addosso per il resto della mia vita e così, dopo molte cure e sofferenze, sono tornato a correre, sciare, arrampicare, fare tutto ciò che facevo prima. Sono andato al Dhaulagiri (8.167 metri, in Nepal ndr) ma ho dovuto rinunciare prima della vetta; l’anno dopo ho dovuto rimandare per una caduta sugli sci che mi ha costretto ad operarmi e devo ringraziare chi mi vuole bene per avermi trattenuto dal partire subito. Poi però ho affrontato il Lhotse dove mi sono dovuto fermare a a 7791 metri per il freddo ai piedi, diventati molto più sensibili. Finalmente a settembre sono andato in vetta al Manaslu (8.163 metri ndr), una grandissima soddisfazione. Una grande gioia per me, i miei cari, ma anche i miei tifosi e gli amici-sponsor».
 
La conquista del Manaslu è stata dedicata a Marco Simoncelli. 
«Quella è stata una vetta che ho dedicato anche e soprattutto al mio amico Marco. Questi 8.163 metri della del Manaslu sono però dedicati anche alle undici persone morte a causa di una valanga staccatasi sopra il campo 2, dove io avevo dormito la sera prima».
 
La montagna non è la sua sola passione, vero?
«È vero: ho studiato da meccanico all’istituto professionale di Tirano e mi affascinano anche tutti i motori: da quello di una ruspa a una motoslitta, fino a quello di una moto. In più, la grande amicizia con Simoncelli mi ha fatto amare ancor più questa disciplina, come io ho fatto amare a lui la montagna».
 
Tra i tanti impegni ci sono anche gli incontri con i ragazzi più giovani.
«Penso siano una delle cose più importanti che faccio. È vero, io scalo per me, ma quando mi chiedono di fare delle conferenze lo faccio sempre volentieri: io parlo ai giovani perché loro sono il futuro del mondo e soprattutto con loro voglio condividere le mie esperienze, spiegare che il dono più importante è la vita, e questa non va buttata. E con i video da montanaro "alternativo e suonato" che propongo, ci riesco abbastanza bene».
 
Qual è il suo prossimo progetto?
«In un momento così di crisi non è facile trovare i soldi per una nuova spedizione ma sto raccogliendo, ancora grazie ai miei amici-sponsor, la somma per ripartire. Se va tutto bene, ai primi di Aprile sarò di nuovo in spedizione: la destinazione per il momento è top secret».
 
Chiudiamo con un aneddoto divertente.
«Vi racconto ciò che è accaduto durante il trekking d’avvicinamento al Manaslu, dove io e il mio amico sherpa Pasang abbiamo davvero sofferto il caldo. Sembra una contraddizione, il caldo sugli Ottomila ma vi assicuro che ai 600 metri da dove siamo partiti si soffocava sul serio. E ogni pozza era buona per immergerci e avere un po’ di sollievo».
 

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Marco Confortola, sul tetto del mondo 4 di 14
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Pubblicato il 07 Marzo 2013
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