I Cento Passi di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978
La notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 la mafia uccise Giuseppe Impastato, Peppino come lo chiamavano tutti nella sua Cinisi
Il 9 maggio 1978 non morì solo Aldo Moro. La notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 la mafia uccise Giuseppe Impastato, Peppino come lo chiamavano tutti nella sua Cinisi, in provincia di Palermo, Sicilia profonda, dominata da Cosa Nostra.
Peppino era un giornalista, un attivista italiano, membro di Democrazia Proletaria; dal microfono della radio libera che aveva fondato con un gruppo di amici, Radio Aut, denunciava il giogo mafioso su Cinisi e sulla Sicilia, con ironia pungente che non piaceva ai boss.
Suo padre Luigi e suo zio erano mafiosi, il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella (ucciso nel 1963, la sua auto fu fatta esplodere): Peppino si ribellò anche alla sua famiglia, grazie all’appoggio della mamma e del fratello minore. A Cinsi abitava a 100 passi (titolo del film di Marco Tullio Giordana e di una canzone dei Modena City Ramblers) dalla casa di don Tano Badalamenti, capo mafia indiscusso dell’epoca: fu Badalamenti ad ordinare l’omicidio di Peppino Impastato, ucciso da quattro “picciotti” che lo legarono ai binari della ferrovia e lo fecero saltare in aria.
Nel 1978 Impastato si candidò nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni provinciali, ma non fece in tempo a sapere l’esito delle votazioni perché venne assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio: gli elettori di Cinisi votarono ancora il suo nome, riuscendo ad eleggerlo simbolicamente al consiglio comunale.
Col suo cadavere venne inscenato un attentato, per distruggerne anche l’immagine: per anni depistarono le indagini, e Peppino Impastato passò per terrorista el a sua memoria venne infangata per anni. La matrice mafiosa del delitto viene individuata grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia: nel maggio del 1984 l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del giudice consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva concepito e avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.
Il Centro Impastato, nato pochi anni prima, pubblica nel 1986 la storia della vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume “La mafia in casa mia” e il dossier “Notissimi ignoti”, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection.
Solo il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a trent’anni di reclusione. L’11 aprile 2002 anche Gaetano Badalamenti è stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo.
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