Bilancio del Festival di Cannes 2018
Scorrono i titoli di coda sulla 71esima edizione del Festival di Cannes e forse scorrono i titoli di coda sull’idea stessa che la kermesse cinematografica più famosa al mondo possa essere ancora considerata un vero tempio d’arte filmica
Scorrono i titoli di coda sulla 71esima edizione del Festival di Cannes e forse scorrono i titoli di coda sull’idea stessa che la kermesse cinematografica più famosa al mondo possa essere ancora considerata un vero tempio d’arte filmica.
E’ stato l’anno di critiche, nefandezze, bizzarrie e sconcerti, consumati tra il divieto di un selfie e l’altro; alle spalle di un boudoir di attori e registi che mal contenta coloro che aspettavano i grandi nomi della conduzione del cinema, figli d’un arte oggettivamente consistente e rassicurante.
Nel buio dello scena, un occhio di bue puntato su Matteo Garrone e Alice Rohrwacher: l’autorialità tutta italiana
Tra le ombre dell’incertezza scenica di candidati e pellicole proposte, spicca il nome di un italiano nel bilancio regressivo del Festival di Cannes 2018: quello di Matteo Garrone. Un pugno nello stomaco il suo Dogman, un film dal forte impatto emotivo che segna un punto nella carriera di Marcello Fonte, premiato come attore maschile per la miglior performance.
Resta l’antagonista cosmico di Sorrentino, con la doppietta di Loro 1 e Loro 2, mentore di un proselitismo politico velato, vagante tra la verità e la bugia di persone e personaggi in questa edizione.
Due nomi di registi che si fanno strada nell’onorare il merito della regia di genere. Resta solo da capire se la critica italiana e internazionale avallerà questo assunto o ne invertirà le sorti riecheggiando l’altro nome vincitore a Palmarès Alice Rohrwacher con Lazzaro Felice.
Figli di un Dio minore: se dovessimo pensare alle nostre palme d’oro, potremmo definirci così; portiamo a casa 12 premi in tutto, nell’edizione di quest’anno, contro 13 per la Francia e 21 per gli States capostipiti. Ultimo il Giappone con solo 5 statuette.
Dunque, all’albo degli ori qualità italiana sì ma con moderazione, sembra essere questo il mantra Cannessiano della 71 esima edizione del Festival di Cannes 2018, che pare non voler abbandonare dogmi e credenze conservative, sfoderando un gusto e un’imperialità geopolitica che sembra difficile da abbandonare: perché a vincere di più sono sempre loro e non LORO sorrentiniano, o l’oro lungometrico del nostro Bel Paese.
La 71 esima edizione del Festival di Cannes: una giuria sbilanciata nel bilancio finale
Più che i titoli dei film, i nomi degli attori e le dimensioni autoriali di registi e scenografi a segnare la passerella cinematografica francese sono i giudici: personalità da red carpet con gusto criticabile più che critico. Compongono i nomi della giuria decidente schemi mentali preconcetti e rinsaldati tra temi e contenuti, più che al cinema e al suo modus operandi. Un linguaggio poco parlato e conosciuto nelle mani di pochi esperti del settore che avallano spauracchi Hussoniani o Labakiani, seguiti dall’ Ayka di Dvortsevoj.
Un bilancio premiale negativo e poco chiaro: con doppi premi opinabili, bollati da regole controvertibili; ex-aequo che non hanno ragion d’essere; premi ad personam creati ad hoc e quote nazionali. Esempio tipico di dubbi e perplessità cannesistiche è Le Livre d’Image di Jean Luc Godard. Un alone di mistero sul perché di questa assegnazione a metà strada tra l’omaggio-contentino e il premio alla carriera. Pensieri lenti e assegnazioni veloci per questa Palm d’Or Spécial che l’attrice hollywoodiana Cate Blanchette ha voluto personalmente consegnare in qualità di Presidente della giuria internazionale.
Insieme a lei altri attori e registi di fama mondiale: da Kristen Stewart e Léa Seydoux a Denis Villeneuve e Robert Guédiguian.
La Palmarès di Cannes 2018: calato il sipario sull’eredità che rimane
Nel documento di bilancio premiale risultano ben acclamati un po’ tutti i partecipanti a questa edizione del Festival del Cinema internazionale, dove ha vinto il messaggio, l’attualità, la voce della cronaca e l’attenzione al conflitto internazionale sempre più in luce e più cruento che mai.
L’americano Spike Lee e il polacco Pawel Pawlikowski rispettivamente ben accolti con un Gran Prix per BlacKkKlansman e la miglior regia per Cold War.
Unanimità e chapeau al giapponese Hirokazu Kore-eda, vero trionfatore della Croisette di quest’anno che ha portato sulla scena “Une affaire de famille” proprio della società odierna, tradotto nel difficile legame genitori e figli. Una scelta forse più razionale che sentita, in verità, ma che rimane da esempio nella strada di valorizzare il contenuto e la morale.
E se la giuria ecumenica ha premiato il “Cafarnao” di Nadine Labaki resta il fatto che nessuna donna ha conquistato ancora una volta la tanto ambita Palma d’oro.
Il Festival di Cannes rimane dunque un’industria di vittorie e sconfitte, dove il mercato audiovisivo si fa sentire nello stremo del suo essere più commerciale che artistico in senso proprio.
Ma chissà che non vi sia un ritorno all’arte cinematografica, quella pura e quella spuria. Lontana dai tanti suppellettili che si potrebbero evitare, nell’idea di pensare al cinema come a qualcosa che basta a se stessa. Senza Se e senza Ma.
Fonte: https://www.intrattenimento.eu/ (https://www.intrattenimento.eu/news/festival-di-cannes-2018-bilancio/)
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