“Non sono un assassino”, l’appello dal carcere di uno degli imputati dell’omicidio Mendola
Angelo Mancino scrive a Varesenews dal carcere di Biella e grida la sua innocenza: "Non ho parlato per paura ma non ho preso parte all'omcidio di Matteo"
Angelo Mancino scrive dal carcere di Biella dove è detenuto da 15 mesi in regime di custodia cautelare con l’accusa di aver preso parte all’omicidio di Matteo Mendola, il bustocco di 33 anni freddato nei boschi di Pombia la sera del 4 aprile del 2017 e ritrovato senza vita il 5.
Per la sua uccisione sono finiti in carcere l’imprenditore Giuseppe Cauchi di 52 anni, Antonio Lembo di 29, entrambi di Busto Arsizio, e Antonio Mancino di 39, di Monte San Savino (Arezzo). Secondo la Procura di Novara Cauchi sarebbe stato il mandante (anche se ha sempre negato il suo coinvolgimento, ndr) mentre Antonio Lembo l’esecutore (reo confesso) con l’aiuto di Mancino.
Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti Mendola avrebbe avuto un conto in sospeso con Cauchi il quale avrebbe poi incaricato Lembo di attirarlo in una specie di trappola. Dopo averlo coinvolto in un furto nelle campagne del piccolo centro in provincia di Novara, lo ha ucciso con due colpi di pistola e una batteria di auto usata come corpo contundente. Le indagini si sono chiuse a gennaio del 2018 e si attende l’inizio del processo con rito abbreviato per Lembo e Mancini.
Mancino, che in un primo momento aveva ammesso di aver aiutato l’amico a sbarazzarsi del cadavere, oggi urla la sua innocenza dal carcere biellese in attesa del processo. Lo fa attraverso una lettera inviata a Varesenews nella quale annuncia di aver iniziato lo sciopero della fame
Sono ormai allo stremo delle forze psichiche e fisiche. Mi accusano di aver premeditato l’omicidio di Matteo insieme al Lembo. Accusa che non ho mai accettato e che respingo con tutte le mie forze. Non passa un solo giorno in cui io non riviva gli accadimenti di quella sera. È tutto stampato indelebilmente nella mia mente e ogni sera le lacrime solcano il mio viso. Non sono colpevole di ciò che mi accusano. Ho sperato e resistito avendo fiducia che la mia posizione potesse essere chiarita ma ormai la speranza e la fiducia hanno lasciato spazio allo sconforto e alla disperazione.
Mancino sa di aver sbagliato a prendere parte alla spedizione per commettere il furto (che poi non si è verificato, ndr) e sa di aver sbagliato a non denunciare l’omicidio
ma il mio comportamento fu dettato dalla paura, la paura che mi è salita vedendo il Lembo ammazzare Matteo in quel modo così brutale e ho temuto per la mia famiglia perchè ho capito di essere finito in qualcosa di grosso e terribilmente pericoloso. Dal 5 al 26 aprile (giorno dell’arresto, ndr) ho temuto che potesse succedere qualcosa di brutto a me o alla mia famiglia.
Mancino sostiene che il suo interrogatorio del 26 aprile, in Toscana, sia stato in qualche modo pilotato con attribuzione di frasi che non avrebbe mai pronunciato
Affermazioni che ho subito corretto ma che sono state prese per buone successivamente come autoaccusatorie e sfuggitemi involontariamente.
Nella lettera Mancino racconta la sua difficile situazione economica che lo ha spinto a partire per Busto Arsizio, in cerca di un lavoro in Svizzera
Andai dal Lembo, dopo aver chiuso la mia attività di ortofrutta che ormai non rendeva più nulla e accumulava solo debiti. Volevo trovare lavoro in Svizzera e mi appoggiai ad Antonio Lembo, persona che conoscevo da quando viveva in Toscana insieme al fratello Davide. Fu proprio Davide a suggerirmi di andare in Svizzera a cercare lavoro perchè mi disse che si era trovato bene. Antonio si disse disposto ad aiutarmi e così partii ma dopo un mese di ricerche, attraverso agenzie di lavoro interinale, ero rimasto senza soldi e accettai di prendere parte al furto.
Mancino racconta anche di aver conosciuto Matteo Mendola la sera prima di quel maledetto 4 aprile e si dice dispiaciuto per la sua morte e per il dolore che ha provocato nella famiglia
Sono consapevole del mio comportamento sbagliato ma non sono un assassino. Mi dispiace per la famiglia di Matteo, per il dolore dovuto alla sua perdita, mi dispiace di non aver denunciato l’assassino del loro caro.
Mancino conclude ribadendo le accuse al Lembo e annunciando lo sciopero della fame
Lui sta mentendo e ne sono prova le molteplici discrepanze e incongruenze nelle sue dichiarazioni. Ho sperato di poter chiarire la mia posizione ma adesso non ci credo più. Ho pensato al suicidio ma l’ulteriore dispiacere che darei alla mia famiglia mi ha fermato dal mio intento. Ho cercato aiuto psicologico ma mi sono state offerte cure a base di psicofarmaci. Il sistema carcerario italiano non funziona e lascia i detenuti in balia di se stessi e del degrado psico-fisico. Pr gridare la mia innocenza non mi resta altro mezzo che lo sciopero della fame perchè forse è meglio morire che vivere una realtà come quella che sto vivendo.
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