Il garante scrive al direttore del carcere: “Le mie proposte ci sono, il suo è ostruzionismo”
Con una lunga lettera aperta Matteo Tosi ribadisce la sua posizione, le sue difficoltà nel lavoro e le risposte che aspetta da parte della direzione
Continua la polemica tra il garante dei detenuti e il direttore del carcere di Busto. Dopo la denuncia del primo -Matteo Tosi- della sensazione di abbandono che accompagna il suo lavoro e la risposta del secondo -Orazio Sorrentini- che invita il garante ad essere più presente in istituto si scrive una nuova pagina dello scontro. È Tosi a farlo, scrivendo una lunga lettera aperta al direttore del carcere in cui ribadisce la sua posizione, le sue difficoltà nel lavoro e le risposte che aspetta da parte della direzione. Ecco la lettera integrale:
Spett.le Direttore Sorrentini,
sabato scorso ho fatto colazione leggendo le puntuali carinerie che mi aveva riservato in due interviste rilasciate a LaPrealpina e Malpensa24. Tra le tante, alcune Sue parole facevano supporre che io avessi annunciato di aver ripreso i colloqui, ma che le cose non stessero affatto così, anzi. Qualche amico ha avuto la sensazione che Lei mi stesse velatamente dando del bugiardo a mezzo stampa. Qualcun altro ha pensato che non lo stesse facendo nemmeno tanto velatamente, se uno dei due giornalisti ci aveva addirittura fatto il titolo. Io sono tra questi, Glielo confesso. Una sensazione simile l’ho avuta anche quando, interpellato in merito alle attività ricreativo-culturali da me proposte sul finire della scorsa primavera, Lei ha lasciato intendere che io non ne avessi presentata alcuna, se non, un anno fa, la visione di un docufilm giudicato irricevibile. Lei mi insegna che “due indizi non fanno una prova, però!”, quindi potrà capirmi se dico che mi sono sentito infamato come bugiardo sui giornali. Non Le dico la mia faccia quando, nel pomeriggio, è uscito anche il pezzo di Varesenews, una nuova intervista in cui Lei teneva a precisare che non aveva nessuna intenzione di fare polemica con me. Del resto, l’aveva sempre detto di sperare in una mia maggiore collaborazione! Le chiedo la cortesia di scegliere tra il darmi del bugiardo e il prendermi in giro. Perché entrambe le cose insieme, da un uomo delle Istituzioni, da un controllando verso il suo controllante, sono davvero troppe.
Così, mi costringe a risponderLe anche sui giornali, cosa che non avrei più voluto fare. Perché io non solo rappresento il Comune di Busto Arsizio, sono di Busto Arsizio. Sono cresciuto qui, come la mia famiglia prima di me e come quella di mia moglie, o quelle di tanti altri amici, bustocchi e bustesi, vecchi e nuovi arrivati, che hanno fatto grande questa Città non solo nei campi dell’industria, del commercio e del risparmio, ma anche in quelli dello sport, della ricerca e della cultura, della solidarietà, dei servizi alla persona e dell’assistenza in tutte le sue forme. La mia “bustocchità” cerco di portarla in tutto quello che faccio, perché ne sono orgoglioso. E, se accetto di ricoprire il ruolo di Garante delle Persone private della Libertà per conto del mio Comune, ben conscio di non percepire nessun emolumento in cambio e non volendolo nemmeno, provo a svolgere il mio compito come immagino lo avrebbe fatto mio nonno. Senza pregiudizi verso nessuno, in assoluta trasparenza, offrendo collaborazione a chi me la chiede e accettando l’aiuto di chi me ne offre, convinto che la parola data e una stretta di mano siano più che sufficienti.
Il 28 settembre scorso, ad esempio, quando venni a trovarLa in seguito a quella “rivolta” che L’aveva costretta ad autorizzare l’uso della forza e che era costata feriti e contusi sia tra i ristretti che tra i poliziotti in servizio, Lei mi aveva chiesto di riprendere i colloqui con i detenuti. E. nonostante io continui a pensare che, senza Area Trattamentale, il mio compito più urgente stia diventando quello di invitarLa a trovare il modo di farsi ascoltare da chi di dovere, per rimediare l’assegnazione stabile di almeno un educatore alla Casa Circondariale da Lei diretta, io l’ho fatto. Non mi è costato niente se non un po’ di coerenza, lo ammetto.
Ho sospeso la mia “disobbedienza civile”: ho incontrato, sto incontrando e incontrerò chiunque ne farà richiesta,. Raccoglierò i loro bisogni e, finiti i miei colloqui, passerò con le loro istanze più diverse a farmi ignorare dall’Ufficio Trattamento, che a oggi non ha ancora trovato il tempo di fornirmi un elenco dei lavoranti in articolo 21, tanto per dirne una, benché una persona gentile mi abbia stampato almeno quello dei lavoranti interni. Sempre quel 28 settembre e sempre nella sala riunioni che chiude il corridoio, accanto al Suo ufficio, Lei mi promise che le mie e-mail e le mie proposte, da lì in poi, avrebbero ricevuto una risposta in tempi utili. Negativa, magari, ma una risposta. L’unica cosa che ho sempre chiesto. Ecco, non avendo ricevuto nessun cenno in merito, né un sì né un no né un forse né un però, ho scritto a B.A. Film Factory per avvisare che il cineforum che si erano offerti di organizzare a loro spese presso il “teatro” di via per Cassano (e di cui avevano già sottoposto i titoli per tutte e sei le proiezioni da qui all’inaugurazione del BAFF), non potrà partire. O, almeno, non entro il 29 o il 31 di questo mese, come da loro ormai datata proposta.
Facciamo finta che lei avesse ragione, allora, e che le uniche mie proposte concrete siano state il docufilm di un anno fa e il cineforum di cui sopra. Due idee verosimili, visto che io aspiro a far sentire i detenuti parte della nostra comunità e che Busto aspira a un posto tra le città del Cinema. Un docufilm e un cineforum, dicevo, per i quali, a un anno di distanza, Lei ha voluto scrivere lo stesso triste finale. Nel caso del cineforum, con le consuete sfumature di mistero e di speranze disattese dall’assenza di risposte, nonostante il marchio di una prestigiosa realtà culturale cittadina. Nel caso di “Spes contra Spem”, invece, con un taglio decisamente grottesco, perché tale è stato il tono della Sue dichiarazioni. Non avendo visto nessuna Sua lettera di scuse, non dico a me, ma almeno al suo collega di Opera e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, immagino che Lei non sappia ancora che quel film che ha bollato come “quasi istigatorio” (LaPrealpina) o comunque “troppo pro detenuti” (Varesenews) è stato realizzato con la loro preziosa collaborazione. Avrebbe potuto verificarlo su internet in un minuto, come può fare chiunque, guardando anche solo il trailer del film. Peccato. Credo che Le convenga ammettere di aver bocciato questa mia proposta – come ha ignorato le altre – senza nemmeno averla presa in considerazione, giusto per il gusto di far capire chi comanda, nonostante la mia intenzione più volte manifestata di presentare quel documento a un pubblico di politici locali e associazioni, così da chiedere con maggior forza l’introduzione di qualche convenzione o borsa lavoro per dare agli “ospiti” di via per Cassano l’occasione di nuovi e più efficaci percorsi di reinserimento socio-lavorativo (proprio quelle convenzioni per cui si sta muovendo adesso, a un anno di distanza).
Ovviamente, può anche non seguire il mio consiglio e continuare a sostenere che la Casa di Reclusione di Opera e il DAP abbiano collaborato alla realizzazione di una pellicola quantomeno pericolosa, e che non se ne siano accorti nemmeno a lavoro finito, tanto da lasciarla proiettare con i loro nomi tra i crediti. In ogni caso, spero che prima o poi si renderà conto di aver proibito a detenuti e autorità la visione di un film da cui “i poliziotti penitenziari emergono come eroi consapevoli e guardiani delle nostre coscienze, umani e maturi, protettori dello Stato”, come si legge nella scheda di presentazione a Venezia, nel 2016. Umani e maturi – nonostante siano sottostaffati, mal equipaggiati e affidati a incarichi di ogni tipo -, proprio come dicevo e dico io, “la miglior risorsa di cui dispone la nostra Casa Circondariale”. Se non fosse per la loro professionalità e per il generoso sforzo quotidiano di un manipolo di volontari, infatti, non so a che punto sarebbe l’emergenza umana e sociale delle diverse sezioni e non so a quali misure bisognerebbe arrivare per evitare che la stessa sfoci in una rivolta vera e propria. Non perda tempo a verificare quando entro io e per quante ore.
Entri Lei in Istituto, varchi una volta in più anche il secondo cancello e vada a vedere dove lavorano assistenti, appuntati e capiposto, vada a contare quanti detenuti continuano ad andare al box, incessantemente, per lamentarsi di questo e di quello, del fatto che il nuovo arrivato lavora e loro no, della sintesi che non arriva, dell’Area Trattamentale che non li chiama, della misura alternativa rigettata, della disoccupazione persa perché spedita in ritardo e così via. Vada a vedere che tensione si genera in un corridoio dove ci sono una cinquantina di persone buttate a far niente, consapevoli del fatto che il loro primo diritto, quello di essere “trattati” (e cioè assistiti, rieducati, reinseriti), non può che essere sistematicamente disatteso, semplicemente perché l’Area Trattamentale non esiste o quasi. Sono cinque mesi, ormai. E la responsabile che c’era prima non è scappata di punto in bianco con il malloppo per rifugiarsi ai Caraibi, ma è semplicemente andata in pensione come noto da tempo. Forse un tempo sufficiente per porre rimedio alla sua assenza, in un modo o nell’altro. Si concentri su questo, se può, e non stia più a dirmi cosa devo fare, come, quando e perché. Capisco che per un “controllore” come Lei sia difficile fare la parte del controllato, ma tant’è.
E non provi più a far passare l’idea che la mia assenza fosse sinonimo di disinteresse. L’aver ereditato il ruolo di Luca (e parte dei suoi contatti), l’aver fatto un’esperienza di volontariato in articolo 17 e l’aver sempre coltivato un dialogo aperto con la Camera Penale di Busto, nonché la mia vicinanza ad alcuni esponenti del Partito Radicale, mi hanno aiutato a tessere una rete di permessanti, detenuti in misura alternativa, ex detenuti, volontari, avvocati e assistenti che mi ha consentito di rimanere sempre dignitosamente informato. Quello sfortunato pomeriggio in cui un giovanissimo detenuto nordafricano si tolse la vita, infatti, io mi presentai al cancello prima ancora che se ne fosse andata l’ambulanza. Lo chieda alla Comandante, che non si capacitava di come fossi stato informato così in fretta e da chi, ma che mi offrì comunque la sua disponibilità e chiese la mia per salire, insieme, a parlare con alcuni detenuti che, in virtù dell’accaduto, stavano dando in escandescenza. Rientrò tutto molto in fretta, per fortuna. O meglio, perché i poliziotti presenti seppero ancora una volta alternare la pretesa di rivedere tutto in ordine il prima possibile alla disponibilità a chiudere un occhio sul precedente disordine e alla concessione di un ulteriore momento di preghiera collettiva, nonostante l’ora.
Al di là della mia persona, comunque, e delle future non polemiche che vorrà rivolgermi, La invito soprattutto a portare maggior rispetto alla figura del Garante in assoluto. Perché sostenere che il nostro compito sia soprattutto quello di aiutare i detenuti a “rinnovare la patente, vendere un’auto, trovare un telefono per la madre anziana ricoverata in ospedale” (LaPrealpina) è inesatto e svilente al tempo stesso. Se no, è inutile invitare Carlo Lio, il Garante Regionale, a inaugurare uno “Sportello del Garante” negli spazi di via per Cassano. Una bella iniziativa a cui non mancherò di sicuro, nonostante Lei non me ne abbia mai fatto menzione, e ne sia dovuto venire a conoscenza insieme a tutti gli altri Garanti attivi in Lombardia, tramite e-mail di invito spedita dalla segreteria del Difensore Regionale, su iniziativa del mio più prestigioso collega, che ovviamente aspetto e ringrazio. Insieme a lui, magari, potrà riguardare il Regolamento che disciplina la mia figura e le mie funzioni, approvato dal Consiglio Comunale di Busto Arsizio con delibera n. 57 del 4 giugno 2013. Benché io stesso le consideri uno strumento fondamentale, vedrà che le “visite” sono citate solo al quarto punto (di quattro) dell’Articolo 3, che regola appunto le “Funzioni del Garante”. Il primo dei quattro, invece, parla di “partecipazione alla vita civile”, “con particolare riferimento ai diritti fondamentali, alla casa, al lavoro, alla formazione, alla cultura, all’assistenza, alla tutela della salute, allo sport;”. Come a dire che proporre momenti di cultura e svago, nonché delle occasioni di sport e lavoro, è tanto un mio diritto quanto un mio dovere.
Quindi, continuerò a chiedere conto delle proposte già avanzate e, magari, a farne altre. Almeno finché sarò io il Garante. Se poi Lei non sarà proprio mai disposto a vedermi se non come un chiacchieratore seriale, un mero supporto morale o un aiuto per le piccole cose, valuterò se rinunciare al mio ruolo (sentendomi impossibilitato a svolgerlo come si deve) e propormi come volontario. Come saprà, ho seguito tutte e quattro le serate del corso organizzato da quelle associazioni cui mi riferivo più in alto, e il 12 novembre ritirerò il relativo attestato. Intanto, sul tavolo ha quattro mie proposte, oltre a “Spes contra Spem”. Sta a Lei decidere se accoglierle (una o tutte) in nome del buon senso e della cosiddetta “umanizzazione delle pene”, o se riservarmi ancora lo stesso ostruzionismo praticato fin qui. Quell’ostruzionismo che io, in nome di una possibile collaborazione presente e futura, nel mio fantomatico “sfogo” avevo provato a far passare come temporanea inefficienza dell’Ufficio Trattamento. Detto questo, per amor di verità non posso chiudere senza riconoscerLe almeno l’eleganza di non aver voluto commentare le mie possibili dimissioni. Qualora Lei volesse riflettere sulle proprie – o se volesse farlo qualcun altro -, Le userò la stessa cortesia.
Non sono tipo da serbare rancore: quando riuscirà a ottenere almeno una parte degli educatori che spettano alla C.C. di Busto Arsizio, per me sarà tutto risolto. Il problema, del resto, non siamo né io né Lei, ma il Senso delle Istituzioni e soprattutto la quotidianità di circa 420-430 detenuti e degli agenti che li hanno in custodia. Quello di cui parlo nella relazione che consegnerò all’Amministrazione comunale e ai miei ex colleghi consiglieri, ruolo a cui ho rinunciato proprio per svolgere al meglio questo nuovo incarico, propostomi dopo le infauste – ma comprensibilissime – dimissioni anticipate del mio predecessore.
Con immutata disponibilità,
Matteo Tosi
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