“Ma quale predatore violento? È l’ennesimo oltraggio alla memoria di Lidia”
Dopo le rivelazioni della criminologa Ursula Franco, arriva la presa di posizione di Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi
«Macchè “vittima casuale di un predatore violento”! Questa è soltanto una illazione bella e buona, l’ennesimo oltraggio alla memoria di Lidia!”.
Queste le parole di Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi rimasta esterrefatta dinanzi alle esternazioni fatte dalla Dott.ssa Ursula Franco a proposito della morte di Lidia, «dal momento in cui il nome di questa dottoressa non è mai entrato nè in nessun atto processuale, né in nessuna aula giudiziaria» (nella foto, la sentenza della Corte d’Assise di Varese deposta sulla tomba della giovane il giorno della decisione dei giudici di Varese).
Alcune considerazioni legate alla consulenza criminologica sul “caso Lidia Macchi”, pubblicate sul blog della professionista nell’ottobre scorso sono state oggetto di approfondimento giornalistico in attesa di conoscere la data dell’appello. Non tarda dunque ad arrivare la replica dell’avvocato Pizzi che si dice «sorpreso nel leggere che nel processo di appello la difesa di Stefano Binda utilizzerà la consulenza della Dott.ssa Franco dal momento che il suo nome non è stato citato neanche una volta nell’atto di impugnazione presentato nei mesi scorsi! Ad ogni buon conto, a Cittiglio non c’è mai stato nessun predatore violento e ad uccidere Lidia è stata una persona che lei conosceva bene, come sentenziato dalla Corte d’Assise di Varese che ha condannato Binda all’ergastolo», spiega l’avvocato Pizzi aggiungendo che «quanto sostenuto dalla Dott.ssa Franco cozza totalmente con quanto riconosciuto anche da tutti gli altri Giudici che si sono pronunciati sinora, ovvero il Gip di Varese nonché il Tribunale del Riesame di Milano e la Suprema Corte di Cassazione di Roma quando si pronunciarono sulla richiesta di scarcerazione di Binda (stabilendo che sarebbe dovuto rimanere in carcere).»
Dire, inoltre, che «”sono tre le persone che potrebbero far scagionare Binda” significa non aver nessuna contezza degli atti di indagine e delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale: personalmente leggo queste considerazioni come la volontà di screditare a tutti i costi gli sforzi investigativi profusi dalla Procura Generale di Milano per circostanziare al meglio le ultime ore di vita di Lidia nonché l’operato attento e meticoloso della Corte d’Assise di Varese nel processo che ha portato alla condanna di Stefano Binda».
«Quelle che, a questo punto, sarebbero da approfondire bene sono le competenze specifiche della Dott.ssa Franco, che a me risulta aver fatto un dottorato di ricerca in neurofisiopatologia e di essersi sinora occupata solo e soltanto del caso di Elena Ceste: peraltro, interrogata sulle sue capacità professionali dal PM di quel processo, ha risposto di non essere un medico-legale, di non avere alcuna esperienza in materia di tossicologia, né di avere esperienza in tema di rinvenimento di resti scheletrici – aggiunge il legale della famiglia Macchi – . Insomma, allo stato le sue sono supposizioni belle e buone, destituite di ogni fondamento. L’unica cosa che ad oggi conta è la sentenza della Corte di Assise di Varese. Ed è soltanto rispettando questa sentenza che si rispetta la memoria di Lidia».
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