L’eroina nei boschi dei funghi, gli schiavi e i “signori della roba“
Un panorama desolante che emerge dalle indagini: “Fondamentale l’aiuto dei cittadini“. Le ipotesi sugli incendi
La maestra che si fa una canna prima di entrare in classe. L’artigiano che accosta col furgone, prende la pallina e se ne va al lavoro dopo aver “pippato“ cocaina. Perfino il conducente dello scuolabus che si metteva alla guida da “fatto“.
Che cos’è paradossale, e cosa normale, durante una giornata passata fianco a fianco ai carabinieri della compagnia di Luino? C’erano i militari della stazione di Cuvio, ma anche di Marchirolo, di Maccagno e dei tanti colleghi – erano oltre 100 tra cui i Forestali di Arcisate, Luino e Cunardo e 2° Nucleo Elicotteri e del Nucleo Cinofili di Orio al Serio – che stamattina ben prima dell’alba hanno fatto partire l’operazione “Maghreb“ con l’intento di arrestare venti persone.
I capi sono ancora latitanti, metà degli arrestati è marocchina, l’altra metà italiana, raggiunti nelle loro case di Cunardo, Ferrera di Varese, Marchirolo e altri piccoli, piccolissimi centri del Varesotto dove risultava difficile, fino a qualche anno fa, riuscire anche solo ad immaginare che vendessero droga dove si va a raccogliere funghi, o a fare legna.
CITTADINI PER BENE –Ma le tante denunce fatte nelle caserme della zona hanno attivato le antenne degli ufficiali: Alessandro Volpini, il capitano di Luino ha cominciato a far girare i suoi uomini in zona e ad osservare. Tutto riportato al pm varesino Flavio Ricci, il pubblico ministero di Varese che ha condotto le indagini su delega del procuratore capo Daniela Borgonovo che oggi, presentando i risultati dell’operazione ha insistito molto sulla riappropriazione di questi boschi da parte di chi da sempre li frequenta.
Si sono rivolti ai carabinieri tanti cittadini per bene che hanno appuntato le targhe, scritto lettere ai giornali.
In un caso, come si ricorderà, alcuni abitanti della zona di Cugliate Fabiasco avevano affisso il cartello: “A 200 metri vendita di eroina“.
Una raccolta spesso inconsapevole di elementi preziosissimi per le indagini che hanno sì utilizzato strumenti tradizionali, ma anche tecnologici. L’appostamento e il drone, la confidenza e l’intercettazione telefonica. La fototrappola e il cercatore di funghi che sapeva che il bosco era troppo secco per quel via vai di gente che non cercava i porcini, ma droga.
GLI SCHIAVI E I PADRONI – E poi c’erano loro, gli spacciatori, padroni del bosco, padroni di tutto. E di tutti. Partivano spesso da Milano, dove c’era il centro logistico in un appartamento dell’hinterland in cui la roba probabilmente arrivava, per poi muoversi verso Varese (ma probabilmente anche diretti in altre provincie trasformate in piazze di spaccio).
Chi gestisce questi traffici, però, è gente furba. Persone che sanno quanto dia nell’occhio una targa o una marca d’auto, in certi posti. Quindi chiedevano agli “schiavi“ della dose, a chi non aveva molto da offrire, null’altro se non, per esempio, un passaggio con un’auto pulita. E così arrivavano nei boschi di Brinzio, Castello Cabiaglio, a Rancio Valcuvia come a Cadegliano Viconago, Montegrino Valtravaglia, Valganna, Marzio, Brusimpiano…
Gli schiavi li portavano “al lavoro“, che consisteva nello stare appostati a preparare la droga, e a ricevere le telefonate dei clienti. La consegna veniva fatta fare dai galoppini, i primi che sono stati arrestati, e che spesso portavano ai “signori“ le coperte per proteggersi dal freddo, o anche i cappuccini comprati al bar.
LE PIAZZE – Lo spaccio prevedeva il passaggio della droga di mano a bordo strada. Poi lo spazio per assumere le sostanze non mancava: le zone pullulano di punti appartati dove consumare. Ma non per tutti era così. C’erano i clienti svizzeri che arrivavano fino alle valli per comprare e se ne andavano. E c’erano diversi giovanissimi che facevano scorte di hascisc per poi rivendere a Varese e lucrare sul ricarico: vuol dire che i prezzi, nei boschi, nonostante il trasporto da Milano e le intermediazioni varie, tutto sommato erano più che convenienti.
GLI INCENDI – Capitolo a parte e che sarà oggetto di indagini e verifiche è quello del disagio ambientale, dell’enorme sporcizia lasciata nei boschi. Ma c’è dell’altro. Qualcosa che, in caso di riscontri positivi, farà forse più scalpore dello spaccio in sè: la Procura sta indagando su possibili collegamenti fra i roghi partiti nel gennaio scorso e la presenza, in queste zone, di spacciatori.
Per ora sono solo ipotesi, ma basta una passeggiata nei boschi per rendersi conto che non si tratti di un’idea peregrina: focolai liberi, griglie per cuocere la carne, carta, scatolette di alimenti da scaldare. Si tratta solo di una parte dell’inventario fatto dai carabinieri nei boschi. In quelle giornate di vento faceva freddo, e le coperte non bastavano per scaldare i “ignori della roba“. Ci voleva il fuoco.
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Rendiamoci conto tutti cosa stiamo consegnando ai nostri figli e nipoti.
Questo paese si è ridotto a doversi drogare giornalmente ed i nostri boschi, anzichè essere vissuti con lunghe passeggiati ed escursioni nella natura (come si fa normalmente oltre-confine) , sono ridotti a case dello spaccio.
Questa società ha fallito. Ha fallito la mentalità italiana nel guardarsi esclusivamente il proprio orticello, di girare sempre la testa dall’altra parte, dell’essere compiacenti con tutti su tutto.
Prima ce ne rendiamo conto tutti (con i rispettivi mea-culpa) e prima riusciremo a cambiare le cose. Prima occorre però indignarsi di fronte a questo schifo.
Se non riusciamo fare questo allora confido in una invasione straniera…solo un elemento esterno potrà portare il cambiamento in un popolo lobotomizzato nonchè drogato.