«Quel pesce non l’avrei rilasciato»
L’ittiologo Cesare Puzzi spiega il perché di questi pesci nelle nostre acque e i danni che possono fare all’ecosistema fluviale
Siluri da un quintale, temoli russi da 60 chili, pesci gatto voracissimi. Il numeroso carassio. Il potente aspio.
La globalizzazione sotto il pelo dell’acqua ce la raccontano i lettori-pescatori con le maxi catture che fanno sognare, ma anche un po’ preoccupare.
Le immagini del grande pesce dell’est pescato in una lanca del Ticino e documentato con foto rappresenta uno spunto di riflessione su diversi piani, su come sta cambiando l’ambiente, su come stanno cambiando i nostri comportamenti e, soprattutto, su quanto poco si sappia dei nostri corsi d’acqua.
Ma c’è una domanda di fondo, a cui è importante rispondere, soprattutto leggendo le centinaia di commenti lasciati dai lettori di Varesenews: rilasciare i pesci alloctoni, che non fanno parte del corredo genetico delle nostre specie, è giusto?
Abbiamo girato questo quesito ad un esperto del settore, l’ittiologo Cesare Puzzi che si è tra l’altro occupato in passato per la Provincia di Varese proprio dei temi legati alle specie invasive nel lago di Varese, come il siluro.
«Il temolo russo è una specie classificata come esotica e che normalmente non si riproduce nelle nostre acque. Non è un predatore, è un pesce filtratore: cioè si nutre delle sostanze nutrienti sospese nell’acqua, di vegetali, al massimo di qualche invertebrato, ma non caccia gli altri pesci. Quindi è stato probabilmente un caso il fatto che il lettore l’abbia pescato con un pesciolino finto che di solito viene utilizzato per la cattura di altri predatori che popolano il Ticino».
Quindi il grande temolo russo è un “bonaccione”, un pesce che di regola non si nutre di avannotti o, ancor peggio, di uova di pesci pregiati.
Lei cosa avrebbe fatto?
«L’avrei soppresso senza alcun dubbio».
Perché?
«Perché non c’entra niente con la nostra fauna, è da considerarsi presenza sgradita. Anche se non predatore diretto va ad interferire con l’ecosistema fluviale e non a caso ha attaccato un piccolo pesce che poteva anche essere di una specie pregiata: è successo vista la sua stazza».
Ma come può arrivare lì in una lanca del Ticino, tra l’altro in un parco, un pesce del genere?
«Non credo si sia trattato di un’immissione volontaria, credo si sia trattato di una presenza da ritenersi casuale. Questi pesci sono stati invece immessi in alcuni laghi artificiali, privati, per la pesca sportiva. Certo fa specie la taglia: 60chili sono davvero molti».
Sopprimerebbe tutte le altre specie alloctone?
«Certo. Esiste innanzi tutto un quadro normativo da rispettare. In Lombardia c’è una lista di specie che è vietato reimmettere in acqua dopo la cattura, che comprende, per esempio il siluro. Purtroppo il temono russo non rientra in questo elenco».
Quindi nessuna eventuale sanzione può venir applicata al pescatore che ha reintrodotto il grande pesce nel braccio secondario del Ticino. È stata una scelta etica, insomma: la decisione di non uccidere ha prevalso.
Ma la trota lacustre di 6 chili pescata domenica nel canale industriale a Vizzola Ticino, un pesce selvaggio e di casa nostra?
L’avrebbe lasciata vivere?
«No, in quel caso me la sarei portata a casa e l’avrei mangiata. Non vado a pesca per rilasciare i pesci, ma per mangiarli: se sono nel periodo consentito e la loro lunghezza supera la taglia minima, non vedo perché dovrei rilasciarli. Avrei rilasciato una trota Marmorata, presente nel Ticino, ma che è un esemplare rarissimo. Ma la lacustre no: nel Lago Maggiore ce ne sono molte, e sono ottime da mangiare. Peraltro quello catturato non è nemmeno fra gli esemplari più grandi: in letteratura si riporta di esemplari, nel Lago Maggiore, arrivati fino al peso di venti chili».
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