Whirlpool Emea, storia di una trattativa mai decollata
La multinazionale ha fatto una clamorosa marcia indietro sull'accordo del 2018 e sul destino della fabbrica di Napoli. Le ragioni alla base di questa scelta potrebbero essere più d'una: il cambio della dirigenza che non è la stessa che firmò quell'accordo, le perdite consistenti del bilancio di Emea, le pressioni degli azionisti americani e l'inadeguatezza dell'ex ministro dello Sviluppo economico
Dopo la decisione presa unilateralmente da Whirlpool Emea di cedere il ramo d’azienda di Napoli, dove produceva lavatrici, si apre una nuova fase che rimette in discussione le solide relazioni sindacali create nell’arco di trent’anni. Il comportamento dei dirigenti di Whirlpool durante la trattativa è stato bollato dai segretari nazionali dei sindacati metalmeccanici come «arrogante e irresponsabile». Parole che compromettono quel rapporto sul piano della credibilità, tanto che inizia a farsi largo la convinzione che questa mossa a sorpresa preluda ad un disimpegno della multinazionale americana rispetto all’Italia. A che cosa sono serviti tutti gli incontri di questi mesi al ministero dello Sviluppo economico, se poi l’azienda ha deciso unilateralmente di vendere lo stabilimento di Napoli? E perché Whirlpool Emea ha deciso di disattendere così clamorosamente l’accordo siglato con i sindacati nell’ottobre del 2018?
LE CRITICITÀ DEL PIANO PER L’ITALIA
Per rispondere a queste domande, bisogna risalire al Piano per Italia del 2015. Durante quella trattativa Whirlpool Emea aveva manifestato la necessità di una riduzione di costi che avrebbe coinvolto la Turchia e il Sudafrica. Con la chiusura del Piano per l’Italia però non si erano risolte alcune criticità degli stabilimenti italiani, in particolare quelli di Napoli, dove si producevano lavatrici, e Siena, specializzata nei congelatori, che avevano difficoltà a stare sul mercato e a mantenere la loro missione produttiva. Nonostante il trasferimento di una parte del personale, quelle criticità rimanevano e ogni decisione in merito al loro destino veniva di fatto rinviata.
L’ACCORDO DEL 2018
Nell’ottobre del 2018, Fim, Fiom e Uilm e Whirlpool raggiungevano l’accordo sul piano industriale che però non prevedeva la chiusura di Napoli. Sei mesi dopo il sindacato, chiedendo all’azienda una verifica di quel piano, scopriva che i dirigenti di Whirlpool in una slide avevano previsto la chiusura dello stabilimento napoletano. Una doccia fredda per i rappresentanti dei lavoratori che, in un durissimo confronto al Mise, mettevano la multinazionale di fronte alla sua palese contraddizione: perché non aveva sollevato quel problema sei mesi prima? A questo proposito c’è un dettaglio significativo: la dirigenza che ha deciso di disattendere quell’accordo non è la stessa che lo ha sottoscritto. Nel gennaio 2019 Whirlpool corporation ha nominato il nuovo presidente della regione Emea che è anche vicepresidente esecutivo di Whirlpool corporation e quindi riferisce direttamente agli americani e al ceo Marc Bitzer. Un allineamento in sintonia con gli interessi degli azionisti che potrebbero aver gradito la proposta di una riduzione dei costi dei siti meno performanti a fronte di un bilancio, quello della regione Emea, che nel 2018 presentava perdite consistenti. Una nota curiosa: Bitzer è tra i 181 ceo di multinazionali americane firmatari del manifesto di Business Roundtable che per la prima volta nella sua storia non mette al centro il profitto e gli azionisti.
LA CONFUSIONE DI WHIRLPOOL NELLA TRATTATIVA
Il sindacato in questi mesi ha sempre sottolineato l’atteggiamento poco chiaro dei nuovi dirigenti che in prima battuta hanno presentato alle organizzazioni sindacali ben cinque soluzioni praticabili per Napoli, facendo al contempo fughe in avanti con dichiarazioni alla stampa, spesso in contraddizione con quanto veniva detto durante la trattativa. Strategia, comunicazione a orologeria o improvvisazione? Qualunque sia la risposta, l’unico effetto è stata la totale confusione e l’irritazione della controparte che a più riprese ha richiamato l’azienda a una maggiore serietà, invitando i manager della multinazionale a dire quello che pensavano durante la trattativa. Un appello inascoltato, perché con il passare del tempo la situazione invece di migliorare è via via peggiorata. La comunicazione di Whirlpool ha continuato a viaggiare su un doppio binario anomalo: quello delle trattative e quello delle anticipazioni a mezzo stampa. Per esempio, si affidava a un comunicato una dichiarazione importante ai fini della trattativa sugli interventi contenuti nel decreto legge “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”, in cui si affermava che non erano sufficienti a garantire «la profittabilità dello stabilimento partenopeo nel lungo periodo e la competitività di Whirlpool nella Regione Emea» e che per il sito di Napoli all’orizzonte c’era «una nuova missione industriale». Infine, l’ultima comunicazione a sorpresa, quella di martedì 17 settembre, alla ripresa delle trattative al Mise, con cui la multinazionale ha annunciato la decisione unilaterale di vendere la fabbrica di Napoli a Prs, società svizzera che si occupa di refrigerazione passiva.
UN GOVERNO INADEGUATO
Il ruolo tenuto dal ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio in questa trattativa è stato caratterizzato da molte ombre e poche luci. Probabilmente ha pagato l’inesperienza e l’ingenuità di certe posizioni, che però si colorano di colpa grave quando riguardano un ministro e mettono a repentaglio 412 posti di lavoro. Il rapporto del grillino Di Maio con il sindacato non è mai stato idilliaco. Alla chiusura dell’accordo del 2018, la segretaria della Fim Cisl nazionale, Alessandra Damiani, una che non le manda certo a dire, sollecitava il neoministro a non attribuirsi meriti che non aveva, ricordandogli che quell’accordo era il frutto del lavoro di chi l’aveva preceduto al Mise. Durante la trattativa le bacchettate a Di Maio sono state diverse, ma l’accusa principale era il mancato rispetto del ruolo del sindacato. Anziché mediare tra le parti, il ministero era diventato a sua volta parte in causa, si schierava sovrapponendosi alle richieste fatte dalle organizzazioni sindacali. Il culmine venne raggiunto all’inizio dell’estate: il giorno prima dell’incontro con le parti sociali, Di Maio dichiarava di voler revocare gli incentivi alla Whirlpool. Una manciata di milioni di euro, circa otto. Il nulla di fronte al bilancio miliardario della multinazionale e alle centinaia di milioni di euro di investimenti fatti in Italia. Un assist maldestro che si rivelò un autogol nel momento in cui Whirlpool chiedeva a sua volta il tempo necessario per potersi confrontare con la casa madre americana perché le dichiarazioni del ministro avevano creato «una turbativa azionaria».
POTEVA ANDARE DIVERSAMENTE
L’epilogo di questa strampalata trattativa è ormai deciso: Whirlpool lascerà Napoli. Fiom, Fim e Uilm hanno fatto la loro parte, con serietà, forse con l’unico rammarico di non aver affrontato alcune criticità nei tempi giusti, cioè fin dalla chiusura del Piano per l’Italia, senza rinviarle ad un secondo momento che non c’è mai stato per scelta dell’azienda. Il sindacato si è fidato di Whirlpool e della parola data con l’approvazione del piano industriale nell’ottobre del 2018. E d’altronde per quale motivo non avrebbe dovuto fidarsi? Trent’anni di buone relazioni sindacali, vogliono pur dir qualcosa. E poi c’era un precedente importante: lo stabilimento di Carinaro (Caserta) che, destinato ad essere chiuso nel 2015, fu salvato grazie a una trattativa intelligente in grado di far cambiare idea ai vertici americani.
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