Carlo Montoli, per lui la caviglia non ha segreti
Il primario di ortopedia dell'ospedale di Luino e neopresidente della Società italiana della caviglia e del piede si racconta a Pier Fausto Vedani
Carlo, mi ricordo di te ragazzino che arrivavi al Pronto Soccorso dell’ospedale in bici indossando la maglia del Milan e tuo padre, avendo rappezzato decine di tuoi coetanei, manifestava disapprovazione scuotendo la testa senza farsi vedere da te.
Anni dopo, eri laureando in medicina e chirurgia, il dottor Ermanno ti accoglieva volentieri per assistere a qualche intervento utile per la tua formazione professionale, già orientata a livello di studi. E con un maestro come il papà chi ti conosceva era già certo che di strada ne avresti fatta e solo con le tue gambe.
Oggi, primario a Luino, la tua preparazione, il tuo lavoro, coscienzioso e lontano dalle ribalte mediatiche, ti hanno portato alla presidenza di un’associazione medica nazionale, quella degli specialisti della caviglia. Vuoi parlarne?
«Volentieri, non ci sono problemi. Spero che papà scuotesse la testa solo per il fatto che mi spostassi in bici e non per la maglia del Milan. In fondo è lui che mi ha trasmesso la fede anche se questo non è un buon momento per parlarne».
Dove ha sede la vostra associazione, quanti siete e anche se ci sono particolari specificità del settore in Italia. E come si pongono nel contesto internazionale.
«La segreteria della SICP, Società italiana della caviglia e del piede, è a Parma. La nostra associazione è composta da circa 350 chirurghi ortopedici con interesse nella patologia e chirurgia di questo distretto anatomico. Siamo affiliati alla SIOT, la Società italiana di ortopedia e traumatologia ed è proprio in ambito del congresso nazionale della SIOT, tenutosi a Roma settimana scorsa, che è stato nominato il nuovo consiglio direttivo della SICP ed io ho avuto l’onore e l’onere di esserne il presidente. Siamo anche affiliati alla Società europea della caviglia e del piede, l’EFAS, e difatti dovrò partecipare tra un mese ad Helsinki al simposio di questa Società».
Statisticamente come si affrontano gli infortuni alle caviglie? C’è la giusta attenzione da parte di chi subisce il trauma? Io,l’8 settembre del 1943,per andare ad assistere all’arrivo dell’invasore tedesco finii in bici contro un muro: non fui portato da un medico, mi raddrizzò un piede una donna anziana. Si chiamava Asino, un nome un programma se 80 anni dopo ci sono giorni in cui il dolore rispunta e fatico a camminare.
«Direi che chi subisce il trauma ha sempre una grande attenzione alla propria caviglia. Rispetto al passato, adesso le indicazioni chirurgiche sono sicuramente maggiori perché si è notata l’importanza di un’ottima ricostruzione anatomica dello scheletro della caviglia per evitare problemi futuri. Quindi meno trattamento conservativo con gesso e più trattamento chirurgico con placche e viti».
La nomina a presidente nazionale di un traumatologo…periferico significa che il suo lavoro è sempre stato di alto profilo. E il successo è stato possibile anche perché è di qualità anche la struttura in cui agisce.
«Beh, da varesino, nato, battezzato e cresciuto nell’Ospedale di Varese e adesso con ruolo di direttore in uno dei presidi più importanti dell’azienda, quello di Luino, ammetto di essere molto orgoglioso di aver raggiunto questo risultato. È chiaro che il ruolo dei miei maestri, mio padre in primis ma anche del professor Paolo Cherubino con cui ho avuto la fortuna di lavorare per 20 anni, è stato cruciale. Perché è grazie ai maestri che si riesce a fondere il buon senso con le capacità tecniche».
Può ricordare le tappe della sua carriera e in quali ambiti in particolare ha avuto modo di avanzare sulla ribalta nazionale.
«Ho 56 anni. Mi sono laureato nel 1988 a Pavia, casa madre dell’allora distaccamento varesino. Sempre a Pavia mi sono poi specializzato in Ortopedia e Traumatologia nel 1993. Puramente varesina è invece la specialità in Medicina dello Sport ottenuta all’Insubria nel 2002. Come detto, ho lavorato dal 1990 al 2010 con il professor Cherubino e dal 2010 ricopro il ruolo di direttore dell’Ortopedia di Luino. La scelta di seguire la chirurgia del piede era maturata presto e infatti il professor Cherubino mi aveva inviato per due mesi nel 1995 a Barcellona dove lavorava il professor Antonio Viladot, probabilmente il grande padre della Chirurgia di caviglia e piede in Europa».
Il suo successo rende felici noi vecchi cronisti che lavorando al Circolo abbiamo avuto modo di crescere anche come uomini, grazie agli esempi dati da suo padre Ermanno come uomo e cittadino prima ancora di medico. Una amicizia fraterna e comprensiva che egli ha avuto in particolare per i suoi collaboratori più stretti, medici e infermieri.
«Papà Ermanno non c’’è più, la vita lo ha provato anche con terribili perdite, oggi il figlio e anche i promettentissimi nipoti gli regalano l’azzurro più limpido. Quello dei giorni sereni dell’eternità».
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