Hemingway vive a Pino, e faceva il carrozziere in Svizzera
Nel paese dove la terra del cioccolato si tocca con un dito, un edicolante fa fortuna coi frontalieri del giornale. E c’è chi trova il paradiso dove una volta si produceva il latte
Pino è una grande famiglia, che quando arrivi nella piazzetta i più piccoli ti guardano di sottécchi, tutti gli adulti salutano e sorridono, e l’aria di confine si palpa attraverso i colori delle tante bandiere biancorossoverdi che spuntano dai tetti.
Poco sopra il paese partono i sentieri che fanno arrivare rapidamente oltreconfine: terra di contrabbandieri, tanto che una volta c’era una caserma della Guardia di Finanza proprio lungo il limite di stato che corre sulla montagna.
La Svizzera è vicina, vicinissima, con le cime innevate a fine aprile, dove per sei mesi l’anno trova rifugio Ferruccio Tomasina, l’Ernest Hemingway di queste parti, perché da ogni angolo del mondo, se si cerca bene, ne sbuca sempre uno: lui somiglia al grande scrittore, per gli occhi da furbo e le passioni per caccia e natura.
Lo si incontra con l’amico Gianluigi Rossi nel piccolo slargo che si apre fra le case di sasso di via Roma. «Tra un mese carico mia moglie e il cane sulla jeep e vado su, ai Monti di Pino. Scendo a novembre inoltrato, prima che arrivi la neve. Lì non c’è luce, né telefono, né gas: ho sistemato questa baita qualche anno fa, con tanto di tetto in ardesia e pannelli fotovoltaici. E me ne sto lì. D’estate arrivano altre famiglie, una ventina di persone, tutte alla ricerca di quello che non c’è più: natura e tranquillità assoluta».
Già, esiste anche qui, tra il lago e la montagna, con balconi improvvisi sul Verbano che regalano panorami mozzafiato, qualcuno che vuole di più, ed è alla ricerca del suo mondo.
Ferruccio è di origini bolognesi, ha 71 anni ed è in pensione: faceva il carrozziere in Svizzera. Frontaliere. «Quasi tutti, qui, vivono e lavorano in Svizzera: è un buon compromesso, anche se è vero che siamo in pochi, e rischiamo di perdere servizi. Comunque – dice sorridendo mentre si fuma una sigaretta – a giugno salgo in baita e aspetto il momento dei cervi».
Le baite si trovano dove una volta stavano i pascoli: latte fresco da vendere in paese, che dista un’ora a piedi e un po’ meno a dorso di mulo, e formaggi per l’inverno. Ora in pochi allevano. In Svizzera, visibile ad occhio nudo dal centro storico del borgo (che per la precisione si chiama Pino sulla sponda del Lago Maggiore ed è il comune col nome più lungo d’Italia nda), è un’altra faccenda: altra attenzione per la montagna, altre risorse a disposizione per la cura delle valli.
E il rischio che i piccoli paesi si spopolino, così, diventa realtà.
I dati Istat parlano chiaro: 363 residenti nel 1971, 242 nel 1982, 203 nel 1991, fino ai 231 del 2001, valore invariato da una decina d’anni.
La “famiglia” di Pino si è quindi negli anni ristretta: oggi sono 230 i residenti, con la peculiarità di avere 280 elettori: proprio a causa del gran numero di persone andate all’estero, cittadine italiane, ma iscritte all’Aire, l’anagrafe della popolazione italiana residente all’estero, che qui devono tornare per votare (come nei casi di referendum locale, e voto per l’elezione del consiglio regionale; per il Parlamento, dopo l’entrata in vigore di una nuova legge nel 2001 si può votare per corrispondenza); gli iscritti a questo elenco sono un centinaio.
Frontalieri in Svizzera ed emigranti in Francia, dove soprattutto negli anni 20 del secolo scorso in tanti andavano per cercare fortuna. E frontalieri, oggi, del voto, anche se non sembra, parlando in paese, che siano in tanti i cittadini che rimpatriano per mettere la x sulla scheda, come faceva uno dei mitici personaggi di Verdone in “Bianco, rosso e verdone”, a bordo dell’Alfasud cui spariva per miracolo l’autoradio non appena varcato il confine del Brennero.
Oggi i problemi legati alla famiglia – stavolta non in senso metaforico – sono altri. Quello della scuola primaria, per esempio: una nota del Ministero affissa sotto i portici non molto distanti dal Comune avverte: “i bimbi in età scolare risultano ad oggi 7, se non arriveranno al numero di 8 all’inizio dell’anno scolastico, non sarà possibile comporre le classi”. Tradotto: bisognerà portare i piccoli delle elementari a Maccagno; altri “frontalieri”, ma della scuola.
Attorno al tema frontalieri c’è una tempèrie di soldi abbondanti, levatacce prima dell’alba, preoccupazione per i diritti e per il congelamento dei ristorni; ma c’è anche un uomo, a Pino, che coi frontalieri ci lavora. Ma attenzione: sono frontalieri al contrario.
Si tratta di ticinesi che entrano in Italia a Zenna, fanno cinque metri con l’auto per fermarsi subito all’edicola di Gabriele Baldocchi. Motivo? «In Svizzera, i giornali costano il triplo. Arrivano di solito clienti del Canton Ticino che entrano per comprare riviste specialistiche, di auto, moto, e altro». In una parola: conviene, e parecchio.
Sono 16 anni che Gabriele ha l’edicola: com’è andata? «Si lavora, ma è sempre più difficile, la crisi è arrivata anche qui, si sente. E se non ci fossero gli svizzeri, a comprare i miei giornali, avrei già chiuso da un pezzo».
(un ringraziamento particolare a Istat Contact Center per la celerità di trasmissione dei dati richiesti)
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