Cinesi spaventati dal coronavirus italiano: “Molti stanno tornando in patria”

Li Min, decano dei commercianti cinesi a Busto Arsizio, racconta come la comunità cinese sta vivendo questo momento delicato. Emerge un quadro di paura diffusa: "Ci vorrebbe più disciplina"

chen li min

Prosegue la nostra inchiesta sulla serrata dei negozi e delle attività cinesi nelle ultime due settimane a causa dell’allarme coronavirus. Dopo la testimonianza dell’imprenditore e rappresentante degli imprenditori stranieri in Confcommercio Milano e Brianza, Francesco Wu, abbiamo intervistato Li Min Chen, anch’egli ristoratore a Busto Arsizio con l’omonimo ristorante su viale Borri e decano dei cinesi in zona. Alle ultime elezioni (essendo cittadino italiano, ndr) amministrative si era anche presentato come candidato consigliere.

«Noi siamo chiusi ormai da quasi due settimane. Stiamo vivendo un momento del tutto particolare e la decisione di chiudere ristoranti, bar, negozi è dettata da una moltitudine di fattori – spiega -. Il primo è culturale, nel senso che la comunità cinese sta prendendo molto seriamente la minaccia del coronavirus, c’è molta paura tra i dipendenti di queste attività e tra i familiari dei dipendenti. Quindi c’è anche un problema di personale per molte attività che, anche volendo rimanere aperte, non riescono a farlo».

Sembra che abbiano più paura i cinesi che gli italiani di questo coronavirus. È così?

«È così anche perchè i cinesi hanno seguito con grande attenzione quello che succedeva in patria e hanno anche visto come il governo e il sistema sanitario ha reagito con misure molto forti. I cinesi in Italia ritengono che gli italiani siano un po’ troppo indisciplinati e quindi molti hanno chiuso e sono tornati in Cina, infilandosi in una situazione ancora più difficile».

Perchè?

«Basta pensare alla famiglia di cinesi di Bergamo che ha portato lì il ceppo italiano del virus. Ora i controlli in Cina sono ad un livello altissimo e chiunque arrivi da zone considerate a rischio viene messo in quarantena e a spese proprie – prosegue – poi quando dovranno tornare, probabilmente, dovranno stare nuovamente in quarantena. Così perdono un mese intero e non c’è modo di sfuggire perchè attraverso Wechat sono stati attivati numeri di telefono legati all’Ambasciata cinese per segnalare chi sta facendo ritorno da zone a rischio per prelevarli in aeroporto e metterli in quarantena».

Perchè tornare in Cina allora?

«Molti ritengono il sistema sanitario cinese molto più preparato a questa emergenza – conclude il ristoratore – ma non solo, pensano anche che il sistema di consegna a domicilio sia migliore di quello che abbiamo qui in Italia e, se devono rimanere in casa, si sentono più tranquilli».

Segnalateci storie sull’argomento della serrata dei cinesi per il coronavirus a redazione@varesenews.it

Leggi anche l’intervista a Francesco Wu

Serrata anti-coronavirus delle attività cinesi, Wu: “Interessi economici secondari”

Da Verbanonews

Ristoranti e negozi cinesi abbassano le serrande nella “statale dello shopping”

 

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 05 Marzo 2020
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  1. Avatar
    Scritto da Felice

    Rivolgo una domanda da rigirare ai connazionali cinesi. Il vostro rigore e la vostra disciplina era presente anche nei famigerati “wet market”, mercati di animali vivi macellati sul posto dove sembrerebbero essere originarie la maggior parte di infezioni e contagi degli ultimi decenni?

    Ora non vorrei scatenare uno scontro di civiltà ma sembra che il popolo cinese sia incriticabile su tutto e non debba mai rendere conto delle proprie responsabilità che nel caso del CoronaVirus mi sembrano quantomeno evidenti e pesanti….a sentir voi sembra che il CoronaVirus l’abbia portato l’Italia. E la CNN vi segue a ruota…

    https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/05/news/coronavirus_la_cartina_della_cnn_italia_focolaio_del_virus_-250304078/?ref=RHPPTP-BH-I250139090-C12-P3-S1.8-T1

    Forse dovreste fare un serio esame di coscienza e dimostare un minimo di onestà ed obiettività nelle vostre affermazioni.

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