La guerra di Alessandro contro il Coronavirus con il terrore di perdere il respiro
Ricoverato al secondo piano dell'ospedale di Circolo, l'uomo, di 47 anni senza alcuna malattia pregressa, testimonia la difficile battaglia che sta ancora conducendo, attaccato alla mascherina, dopo aver sfiorato il peggio
« Due giorni nella Cpap, aggrappato a quel casco che mi dava ossigeno, con il fischio continuo della pressione dell’ossigeno nella testa, terrorizzato di essere al limite della vita».
Alessandro è ricoverato al secondo piano dell’ospedale di Varese. Letti dedicati agli infettivi che ospitano storie intese di dolore e di paura: « Il giorno più difficile è stato giovedì, al culmine della mia crisi respiratoria. Mi hanno fatto indossare quel casco e ho pianto terrorizzato, spaventato perché ero al limite, a un passo dalla terapia intensiva».
Alessandro è marito di un’infermiera. I piccoli peggioramenti gli erano chiari, evidenti, raccontati nelle conversazioni in casa.
Il Covid19 è entrato nella vita di Alessandro all’improvviso: « Ero tranquillo, coma la gran parte di tutti. Sapevamo di Codogno ma era lontano…. Non era stato ancora deciso lo stop alle attività. La nostra vita non era stata travolta. Conducevo la vita di sempre».
Poi il 5 marzo, è arrivata la febbre: prima qualche linea, schizzata a 39,5 gradi la mattina della domenica: « Appena avevo avuto i sintomi, avevo chiamato il mio medico che mi aveva prescritto una lastra urgente. Ero riuscito ad avere l’appuntamento al Del Ponte per il martedì successivo. Ma quando, domenica, la situazione peggiora, ho iniziato a chiamare il 112 per capire cosa dovessi fare. Mi hanno detto di presentarmi in ospedale che mi avrebbero trattato con tutte le cautele. Chiaramente ero preoccupato, perché è un ospedale per bambini. Così martedì mi sono presentato e sono stato preso con le precauzioni. La lastra evidenziava una brutta situazione ai polmoni. Mi hanno fatto il tampone ed è emersa la positività al Covid 19. Ero positivo, con una brutta polmonite in corso. Mi hanno chiesto se volessi tornerà a casa o andare in ospedale e io ho scelto il pronto soccorso»”.
Alessandro inizia subito a peggiorare: « Sono stato una notte in pronto soccorso e poi spostato nel reparto di chirurgia toracica, quindi agli infettivi. Avevo il respiro corto: mi hanno messo dapprima i tubicini nel naso, poi sono passato alla mascherina. Ma anche questa, a un certo punto, non è stata più sufficiente. Me ne hanno messa un’altra più complessa sino alla Cpap. L’anticamera della terapia intensiva».
Per Alessandro si apre il baratro: terrorizzato di non farcela si affida ai suoi angeli che se ne prendono cura: « Infermieri fantastici, che si prodigano per assisterci e darci forza. Persone uniche che mettono a repentaglio la loro vita. Senza sosta, con turni massacranti, bloccati in scafandri scomodi e complicati, non ti abbandonano mai».
Attorno a lui i letti sono pieni di pazienti covid, soffrono bloccati nella paura di non farcela: « Sono rimasto nel casco dell’ossigeno 48 ore – racconta ancora Alessandro – Le peggiori della mia vita. Con la consapevolezza di essere grave, l’angoscia di perdere il respiro e quel fischio incessante della macchina che ti riempie il cervello».
Alessandro in due giorni riesce a superare la crisi respiratoria e a migliorare: « Sono ancora legato alla mascherina. Non riesco ad ossigenare bene i polmoni. Ma non so ancora cosa mi attende. Questo è un virus tremendo che può riservare brutte sorprese all’improvviso. Mi aggrappo ai messaggi e alle chiamate di amici e parenti, all’idea che presto tornerò da mia moglie a casa mia. Supererò tutto questo…».
Alessandro ha 47 anni, una vita normale, nessuna malattia: « Nemmeno io avrei mai pensato che mi sarebbe capitato tutto ciò. Fino a un mese fa, credevo che fosse un problema dei cinesi o di Codogno. Oggi, invece, vi dico che può capitare a ciascuno di noi. Il virus è invisibile e ti colpisce all’improvviso. Non capisco quanti oggi ancora sottovalutino questa minaccia. Non è una semplice influenza. Questo ospedale è pieno di pazienti covid e in terapia intensiva non c’è più un posto libero. Le persone vanno ancora in giro, si muovono come se niente fosse. Ve lo dico con tutta la forza che ho: state attenti e rimanete in casa».
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