Quando arrivai a
Varesenews mi ricordo che Carlo Galeotti, Marco Giovannelli e
Michele Mancino avevano appena deciso il nome. Tutti i ragazzi
hanno un bar dove hanno passato l'adolescenza, dove vanno a
fare casino, a guardare le ragazze. Il mio era La Castellanza.
Per Varese era un posto strano, il bar dei rossi. In realtà
era una cooperativa di derivazione cattolica. Me l'aveva fatta
conoscere una coppia di amici che frequentava gli scout.
Anch'io bazzicavo in quell'ambiente. Nel giro di qualche mese
tutti quelli del nostro giro diventarono clienti del locale.
Giochi, incontri, musica e poi il marchio di bar di sinistra,
con i tavolini da circolino per anziani, che per noi erano il
massimo: cercavamo un immaginario romantico e diverso,
all'apparenza un pò sfigato, pieno di macchiette: l'avevamo
trovato.
Qualche anno dopo, nel bar, leggevo una rivista, Airone
Rosso, e trovai che era fatta incredibilmente bene. Misi via
la racchetta da ping pong, dopo aver diviso per anni il tavolo
verde con il cognato del presidente della cooperativa, Marco
Giovannelli. Le sue sorelle lavorano nel locale e spesso
avevamo sconti più o meno leciti. Poi cominciammo a girare
per l'Italia a scrocco, ma quella è un'altra storia. Andai
dal capo: "Bello questo giornale, lo fate voi? Posso
venire anch'io?". Fu il mio primo colloquio di lavoro.
Anche se io non avevo, all'epoca, alcuna intenzione di
lavorare.
Giovannelli mi diede appuntamento per il giorno dopo.
Quando tornai, al posto di Giovannelli, c'era un signore che
parlava come lui. Pensai fosse un parente. Era Carlo Galeotti,
il primo direttore.
Non era certo trendy...aveva un maglioncino tipo Missoni e
sandali con le calze. Per il primo articolo, ancora per la
rivista Airone Rosso, mi mise nelle mani di un ex sindacalista
per un servizio sulla fabbrica in stile sessantotto. All'epoca
stavo facendo la tesi in storia economica e mi piacevano le
storie operaie. Feci un saggio di decine di pagine senza
accorgermene. Galeotti si incazzò e me lo fece rifare tutto,
ma fu gentile. L'ex sindacalista me lo corresse decine di
volte. Diventarono entrambi due maestri per me. Ma giurai che
non mi sarei più fatto incastrare in rievocazioni del
sessantotto. Io non c'ero, non ne sapevo un cacchio, eppoi
avevo studiato storia, nessuno mi poteva accusare di non
essermi informato. Volevo invece il futuro. Internet.
Varesenews andò a regime nel 1999. Gli aggiornamenti erano
pochi, le riunioni tante. I primi articoli, poi le brevi di
cronaca, che io adoravo. Una rimase storica. Furto in una
pescheria. La scrisse Michele e iniziava così: "Il
commando ittico...", ancora oggi ne ridiamo. Marco, Carlo
e Michele lavoravano tutta la sera, spesso la notte. Nelle
pause si parlava di politica, sport e donne. Carlo era pazzo
della Ferilli, aveva suoi poster ovunque. E poi adorava quel
piccolo cagnolino cinese, Saturnino, che spesso dormiva sulla
sedia mentre lui scriveva. Piano piano cominciai ad
"andare a bottega" da lui. Mi spiegava come nascono
gli spunti giornalistici, come infinocchiare i politici, come
afferrare i particolari delle notizie. Era un grande
giornalista. Acuto, curioso. Io volevo essere preparato, prima
di andare a una conferenza stampa gli chiedevo un ripasso, lui
mi rispondeva scocciato di fare domande, quelle giuste. Quando
andò via ci rimasi male, lo ammiravo.
Marco Giovannelli era un vulcano di energia, innamorato di
Berlinguer, e con un forte talento imprenditoriale. Mi colpiva
soprattutto per come strapazzava tutti i politici di Varese e
per la velocità con la quale, con due dita, batteva sulla
tastiera: un fulmine, senza guardarla, a volte a occhi chiusi.
Lo guardavo stupefatto. A volte mi giravo e sentivo solo i
tasti, il flusso non si interrompeva mai: aveva le idee
chiare. Michele Mancino scriveva di cultura. Faceva analisi
mai banali, con lui potevi discutere per ore. Alla fine,
esausti, si finiva sempre a tavola... Michele è un grande
imitatore, riproduceva politici, colleghi, e poi i cuochi e i
camerieri del locale, i gagà che frequentavano il bancone. La
redazione era sopra la mensa, il bar e la pizzeria. Ingrassai
almeno quattro chili.
Si mangiava e si scriveva, si scriveva e si mangiava. Fuori
da lì Varesenews era appena percepito. Venivamo poco
considerati, ma questo ci rese ancora più determinati. Ce ne
fottevamo di quello che dicevamo gli altri. Nessuno ci
aiutava, ogni straccio di notizia ce la conquistavamo con i
denti. Cercavamo punti di vista diversi anche perchè i
potenti di noi non ne volevano sapere. E poi non eravamo utili
a nessuna grancassa. Era bello. Piano piano ci facemmo spazi,
acquistammo credibilità e un ruolo definito nel panorama
della stampa locale. Il sito web era schierato a sinistra ma
la simpatia veniva un po' da tutte la parti. Per il congresso
della Lega del 1999 facemmo un sito che ancora oggi i i
militanti del carroccio consultano per l'enorme quantità di
riferimenti e notizie.
La qualità tecnica era quella che era. Il grafico,
Maurizio Olivarez, era appena arrivato, ma bestemmiava giorno
e notte per le difficoltà di lavorare. Un'estate, mi ricordo,
eravamo talmente sbrindellati, che chiedemmo alla sua ragazza,
che lo accompagnava al circolino, di scriverci le brevi di
cronaca alla mattina. Ci sarebbero poi da ricordare i
personaggi che passarono da quella prima redazione (scrittori
dark, ragazzi affidati ai servizi sociali, postini poeti,
pittori sudamericani, fotografi di talento), le riunioni sui
divanetti, i mille progetti di Giovannelli. Quella era la
prima redazione, che la sera aveva sempre la luce accesa, poi
venne la società Vareseweb, la redazione di Gazzada, il
giornale fece passi da gigante, e allora capii che era proprio
diventato un lavoro.