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Gallarate - Massimo Bossi ripercorre alcune tappe della sua vita e le ragioni delle scelte politiche che lo portano ora a candidarsi alla guida della cittą
La testardaggine e la fantasia per volare
Il suo ufficio è semplice come si addice a quelle aziende familiari che badano all’essenziale. Lo spazio che conta è quello della produzione, mica dove si scartabella tra documenti. Sulla scrivania ci sono tre foto: la più grande mostra Massimo Bossi a fianco di un Berlusconi sorridente, la seconda lo ritrae abbracciato a Nino Caianiello, ma è l'immagine in primo piano di sua sorella Luisa quella a cui tiene di più. «Ci ha lasciati all’improvviso nel dicembre del 2007, ma sono sicuro che è ancora qui». Un’esperienza dolorosa che Massimo ha affrontato rendendo possibile il sogno della sorella. «Abbiamo subito fondato l’associazione Amici di Luisa per realizzare quanto inseguiva. Mi diceva spesso: “Massimo quando abbiamo un po’ di soldi vorrei fare qualcosa per i bambini in Africa”. Da quel giorno ci stiamo lavorando e da qui nasce il progetto 50.000 mattoni per Murary, per costruire un ospedale nel Burundi. Per me è stata una grande gioia quando è nata la prima bambina in quella struttura e l’hanno voluta chiamare Luisa».
La foto della bimba è incollata su una bacheca non lontana da quella di Massimo bambino fuori dall’azienda del nonno Emilio. La famiglia è un tema centrale nella vita del candidato sindaco del Pdl.
Come era il suo rapporto con sua sorella?
«Siamo cresciuti insieme. Avevamo un anno e sei mesi di differenza. Lei è presente in tutti miei ricordi di bambino, adolescente e adulto. Nessuno di noi ha fato l’università perché nostro padre di ha subito fatto entrare nell’azienda di famiglia e così lavoravamo fianco a fianco».
La sua azienda ha sessant’anni ed è arrivata alla terza generazione...
«Tra poco avrà anche la quarta, perché a giugno arriva a lavorare mia nipote. L’azienda la fondò mio nonno che lavorava alla Caproni. Mio papà ha continuato e lui amava tanto il lavoro e lo ha trasmesso anche a me e mia sorella. Aveva uno spirito socialista, di quello vero e ci diceva sempre che l’azienda cresce insieme con i collaboratori».
Com’era lei da ragazzino?
«Ho vissuto un’infanzia e un’adolescenza serena, molto legata alla mia famiglia. C’era una certa austerità, e ho potuto avere il motorino guadagnandomi i soldi per comprarlo. D’estate lavorai in ditta e mio papà mi dava mille lire all’ora e presi quel Gilera tanto sognato che costava 204.000 lire. Ce l’ho ancora e lo voglio far restaurare. Poi giocavo a pallone e sono andato avanti fino a 27 anni».
Chi è il suo mito calcistico?
«Sono milanista e il più grande per me è Marco Van Basten. Si meritava il pallone d’oro e hanno fatto male a non darglielo».
Com’è composta la sua famiglia?
«Con mia moglie Liliana siamo sposati da 25 anni, dopo nove di fidanzamento. Abbiamo due figli: Giacomo di 24 anni e Francesca di 18. Il grande sta prendendo il brevetto a pilota civile. È la nostra passione, il nonno lavorava tra gli aerei, mio papà ha iniziato a fabbricare pezzi per prodotti aeronautici, io ho fatto il militare in aeronautica. Insomma abbiamo sempre volato, se non fisicamente almeno con la fantasia».
Massimo Bossi mi apre la vetrinetta, ed è piena di modellini di aeroplani. «Sono nel distretto aerospaziale lombardo e sono contento che da un mese sono entrato anche nel CdA di Volandia.
Varese è davvero la provincia con le ali?
«Certamente. Qui abbiamo fatto la storia del volo. Dalla Caproni fino alla Siae Marchetti, l’Aermacchi, l’Agusta, ma non solo loro perché ci sono tantissime piccole e medie aziende che fanno prodotti di eccellenza riconosciute in tutto il mondo. Volandia diventa così la vetrina fantastica di questo mondo».
Da dove arriva la sua passione politica?
«È nata quasi per caso. Nel 1997 io facevo il direttore sportivo dell’associazione sportiva Cedratese e lì conobbi Nino Caianiello. Nacque così una grande amicizia personale a cui tengo molto ancora adesso. Qualche mese dopo mi chiesero di candidarmi e Olimpio Zingaro, un grande personaggio gallaratese degli anni Ottanta mi convinse. Venni eletto ed entrai per la prima volta in consiglio comunale per restarvi fino al 2006 quando Mucci mi chiese di fare l’assessore all’urbanistica. I lavori pubblici erano una mia passione ed come se fossero nel mio Dna. Ho lavorato alla realizzazione del Piano di governo del territorio e siamo riusciti ad approvarlo. Un risultato straordinario, tanto più se si pensa che Varese e Busto ancora non lo hanno varato. Questo la dice lunga sulla mia testardaggine».
Come mai ha deciso di candidarsi?
«Conosco benissimo Gallarate. È la mia città e ci vivo da 52 anni. Mucci ha fatto tanto e oggi è più vivibile, più pulita, più serena. Penso possiamo migliorare ancora la nostra qualità della vita qui attraverso alcune azioni concrete. La prima riguarda il distretto del commercio. Vorrei riqualificare l’area della stazione perché quello è lo spazio che accoglie chi arriva in città. Credo sia poi importante dare spazio alla socialità, all’associazionismo perché grazie alla partecipazione si sviluppa una migliore umanità. L’ambiente è un altro punto importante con la messa a tutela di una grande area a nord della città, ma anche della cascina Tangitt e della zona sud».
E come mai a differenza di Busto e Varese andate divisi con la Lega?
«Non dipende solo da quello che succede a Gallarate. Qui la questione è tutta interna alla Lega e non dipende dal Pdl. Mi sembra che abbiano qualche problema visto anche il cambio in corsa del loro candidato. In ogni caso non posso nascondere che la provincia di Varese risente dell’accordo tra Berlusconi e Bossi. Il presidente del consiglio sa che deve alla Lega la possibilità di governare e quindi ha lasciato che Bossi possa decidere lui a Varese. Anche a Gallarate le cose sono andate così fino a poco tempo fa, poi per un motivo banale legato allo spostamento di un campo nomadi si è rotta l’alleanza».
C’è stata anche la questione della moschea...
«Quella è una questione più delicata. Bisognerebbe incontrare la comunità islamica che non ha mai chiesto all’amministrazione un incontro ufficiale. Anzi, hanno fatto due gravi errori perché hanno aperto per due volte centri culturali trasformandoli poi in luogo di preghiera e non si poteva fare. In ogni caso intendo trovare una soluzione quando sarà possibile incontrare la comunità islamica».
Lei, parlando del suo titolo di studio diceva che i periti chimici sono un po' pazzi. Qual è allora la sua di pazzia?
«La mia famiglia. La adoro e mi sopporta e supporta in tutto. Sono loro a darmi la carica. E con loro la fede. Pochi citano lo Spirito santo. Io sento che esiste e ci accompagna nelle scelte grandi e in quelle di tutti i giorni».
Marco Giovannelli
Sabato 9 Aprile 2011 |