Egemonia del neoguelfismo e debolezze della cultura laica
4 Febbraio 2009
Mentre i filosofi italiani restano silenti sulle questioni al centro del dibattito pubblico, i laici sembrano ormai essersi convinti che non esiste una cultura laica e che l’assoluto e lo spirito sono il monopolio di altre ‘superiori istanze’ (ovviamente quelle religiose, incarnate in Italia dalla Chiesa cattolica). Anche l’esposizione dei manifesti atei sulle fiancate degli autobus in alcune città europee e italiane non fa eccezione a questa regola, poiché l’invito a ‘godersi la vita’ che scaturisce dalla ‘buona notizia’ della ‘non esistenza di Dio’ costituisce un’impressionante conferma del famoso aforisma secondo cui, se Dio è morto, tutto è possibile. D’altra parte, se l’alternativa si riduce in questi termini, occorre augurarsi che sia la scelta religiosa sia la scelta atea non si giochino sul terreno di un utilitarismo grossolano, ossia sui vantaggi che, rispettivamente, l’una garantisce con la promessa della beatitudine celeste e l’altra con l’invito a un pieno godimento della vita terrena. Diversamente, è difficile negare che, proponendosi in questi termini, la cultura laica finisca col fare il gioco della cultura cattolica, la quale non a caso ha reagito a questa iniziativa ‘ateologica’ in modo insolitamente misurato (si potrebbe osservare, a questo riguardo, che la cultura cattolica non è particolarmente interessata, a differenza di quella islamica, alla questione dell’esistenza di Dio…).
In effetti, un uso particolarmente abile e sagace della cultura laica da parte di quella religiosa ha caratterizzato, in questi ultimi quindici anni, i maggiori esponenti della Chiesa, fra i quali ‘in primis’ Joseph Ratzinger. Ciò è dimostrato da un libro dell’attuale pontefice, risalente al 1992, in cui l’autore, servendosi di citazioni tratte da vari pensatori laici e marxisti (come Paul Feyerabend ed Ernst Bloch), espone la sua interpretazione scettico-relativistica della figura e del pensiero di Galileo. In questo senso, le osservazioni critiche del papa sul relativismo contemporaneo possono essere perfettamente rovesciate, se si considera che il relativismo (basti pensare alla versione che ne ha dato Richard Rorty, un importante pensatore pragmatista nordamericano) fa il gioco del dogmatismo religioso, finendo col portare acqua al mulino della reazione neoguelfa, la quale, dal canto suo, ha, come si è visto, la pretesa di presentarsi come portatrice di una ‘razionalità superiore’. Qui è opportuno ricordare l’abilità dell’apologetica cattolica, un saggio esemplare della quale è rappresentato dalla critica della filosofia di Francesco Bacone, condotta da Joseph De Maistre, il campione ottocentesco del pensiero reazionario cattolico.
Ma su questo punto emergono anche i limiti e la debolezza della cultura laica e, in particolare, della cultura umanistica, la quale, accettando supinamente e acriticamente l’equazione tra spiritualità e religione, sembra dimenticare il fatto che, nella sua storia e nella sua tradizione, vi sono valori spirituali che non sono religiosi (così come nella storia e nella tradizione cattolica vi sono valori religiosi che non sono spirituali). La stessa asimmetria per cui il relativista si dà la zappa sui piedi permette, quindi, al dogmatico religioso di servirsi del relativismo per affermare il primato di una pretesa ‘razionalità superiore’. La conseguenza che sembra derivare da tutto ciò è che la cultura laica sembra esprimere solo il ‘trash’ televisivo del “Grande fratello”, mentre la cultura religiosa esprimerebbe, oltre al ‘trash’ religioso di padre Pio, una ‘razionalità superiore’. Sennonché, mentre il mondo religioso agisce con sagacia conformemente ai propri princìpi, è la cultura laica che si comporta in modo autocontraddittorio.
La principale manifestazione di questa autocontraddittorietà della cultura laica è una sorta di ‘umanismo debole’ che tiene per sé la quotidianità più banale e caduca, mentre concede alla cultura religiosa il monopolio dei valori che sono davvero importanti. Molto significativi sono, da questo punto di vista, sia il libro di Marcello Pera “Perché dobbiamo dirci cristiani” sia il libro di Roger Scruton “La cultura conta”: due scritti che convergono tanto nell’affermare la coincidenza sostanziale tra cultura umanistica e cultura religiosa quanto nel delegittimare la connessione tra cultura umanistica e cultura laica. Si potrebbe definire questo atteggiamento, così diffuso nel nostro paese, come una forma, ovviamente alimentata e sostenuta dalla Chiesa cattolica, di autodenigrazione della cultura umanistica.
Un simile atteggiamento non si ritrova, invece, fra gli uomini politici che costruirono lo Stato unitario italiano, i quali, provenendo dallo hegelismo napoletano, sapevano molto bene, a differenza del ceto politico attuale, impegnato a destrutturare l’Italia, che tra arte, religione e filosofia esiste una precisa gerarchia, al vertice della quale si colloca la filosofia. Il neoguelfismo, dal canto suo, rovescia la gerarchia e sostiene esattamente il contrario: al vertice della gerarchia sta la religione, che è superiore alla filosofia. Si tratta di una tesi e di una pretesa, che non hanno avanzato nemmeno i sistemi idealistici e spiritualistici di destra, come quello di Giovanni Gentile. Si può pertanto comprendere, a partire da tali premesse, perché le varie forme di critica della scienza e della tecnologia, anch’esse così diffuse nella cultura italiana, abbiano finito col fare il gioco del potere culturale cattolico, che è riuscito a porsi come il titolare esclusivo del discorso sull’assoluto, collocando al vertice del sapere la religione, abbassando ad un ruolo ancillare la filosofia e proscrivendo il concetto di assoluto dal campo del pensiero filosofico, con il bel risultato di rafforzare, in ultima analisi, l’egemonia conservatrice e reazionaria del neoguelfismo contemporaneo.
La cultura laica deve allora riscoprire i suoi valori e la sua tradizione più vigorosa e combattiva (quella che ha il suo ‘terminus a quo’ in Marsilio da Padova e il suo ‘terminus ad quem’ in Antonio Gramsci), riproponendo con forza, alla luce di tali valori, l’alternativa tra un modo di concepire la vita come promessa e sottomissione, che è proprio del pensiero religioso, e un modo radicalmente diverso di concepire la vita, che contraddistingue il pensiero laico e che si esprime come autonomia e oggettività.
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