Ha ancora senso la democrazia se governata da “ricchi magnati”?
21 Novembre 2024
Egregio Direttore,
desidero riflettere sulla elezione di un noto miliardario ultraconservatore alla presidenza degli Stati Uniti, indipendentemente dalle idee politiche di quest’ultimo e nel rispetto delle libere scelte di ogni popolo che vive in democrazia, in base al principio universale dell’Interesse pubblico e del Bene comune, scelte che potrebbero mettere a rischio importanti diritti civili e sociali conquistati a fatica dopo dure lotte nel corso dei secoli, che ci riguardano direttamente tutti, come l’assistenza sanitaria gratuita per i meno abbienti e la tutela dell’ambiente in cui viviamo. Al riguardo osservo che dai tempi dell’Atene del V secolo A.C. ad oggi gli stessi popoli che hanno duramente conquistato la loro libertà poi, sia in Europa che in America, hanno eletto al Governo dei loro Paesi anche ricchi magnati, spesso interessati più al loro interesse privato che non all’interesse pubblico dello Stato, credendo acriticamente e ingenuamente alle vuote ed effimere promesse di questi ultimi, inoltre gli stessi popoli a volte hanno permesso e permettono a “uomini forti”, ritenuti da molti l’unica soluzione per tutti i problemi economici e sociali delle democrazie, di modificare gli ordinamenti democratici e di sostituirli con forme di Governo reazionarie e autoritarie. Considerando la sempre più diffusa indifferenza delle masse popolari per le importanti questioni pubbliche e per il Bene comune, in una società sempre più vuota di valori profondi che spesso pensa solo all’arido e immediato profitto economico e materiale da conseguire a qualsiasi costo umano e sociale, mi chiedo ironicamente e provocatoriamente se non avessero ragione Crizia, aristocratico capo dei trenta tiranni di Atene nel 404 A.C., e Platone nel sostenere che il popolo incolto e disinteressato alla vita politica non deve e non può decidere le sorti dello Stato e che dovrebbero essere soltanto i “saggi” e i “sapienti” a governare lo Stato (categoria questa ormai scomparsa nella politica moderna). Già nel I secolo A.C. Cicerone, rappresentante dei ricchi “optimates”, affermava che chi ha un alto reddito non dovrebbe assumere cariche pubbliche poiché potrebbe occuparsi dei propri interessi privati anziché di quelli dello Stato e per tale motivo a Firenze, ai tempi di Dante, nel XIII e XIV secolo i nobili “magnati” non potevano accedere alle magistrature. “Uno solo deve essere lo scopo di tutti: che coincida l’utile individuale con quello di tutti, … l’utilità di ogni individuo coincide con quella comune” (Cicerone).
Agli ultraconservatori, soprattutto protestanti puritani americani, che inneggiano al profitto economico a qualsiasi costo, ricordo gli insegnamenti evangelici di solidarietà (Matteo XXV) e di povertà, opportunamente e ipocritamente dimenticati: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo” (Matteo XIX), “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio! E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” (Marco X). “Non qui parum habet, sed qui plus cupit pauper est” (Seneca)!
L’ormai dimenticato senso del Bene comune e dell’Interesse pubblico dovrebbe costituire sempre la ragione profonda della comunità politica e sociale e delle istituzioni pubbliche contro ogni egoismo privato e personale infatti si deve sempre ricordare che la libertà ha come limite necessario il rispetto nei confronti degli “altri” e delle Leggi poste a tutela della convivenza civile; “La gente spesso non ha fiducia nelle classi politiche e dirigenti perché vede solo la corsa all’interesse personale e al privilegio. Manca la testimonianza del buon esempio. Chi si preoccupa solo dei suoi vantaggi, come potrà essere una guida e un educatore per gli altri”? (Card. Gianfranco Ravasi).
Colgo l’occasione per porgere i miei più cordiali saluti.
Alberto Morandi
Laveno Mombello
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