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Pisacane e la sua storia

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30 Agosto 2009

Egregio direttore,
 
   un esempio deteriore di cedimento a un ‘uso pubblico della storia’, ossia a una deformazione della storia orientata nel senso della propaganda antirivoluzionaria, è quello offerto nella lettera intitolata “Mirabelli e Cavour”, ove, senza quel minimo distacco che anche un cultore di storia revisionista e filoborbonico è tenuto ad avere, bensì con un linguaggio poliziesco degno di Metternich, il quale ebbe a definire Giuseppe Mazzini “quel bandito italiano”, Carlo Pisacane, luminosa figura in cui la luce del nostro Risorgimento si mescola agi albori del socialismo, viene indicato come “il terrorista Pisacane”. «Ma chi è “il terrorista Pisacane”?», potrebbe chiedersi, imbattendosi in quell’espressione tanto velenosa nella forma quanto risibile nella sostanza, un giovane che non abbia sufficiente dimestichezza con il nostro Risorgimento? Ecco dunque uno stringato profilo che spero possa servire a rendere a questo personaggio storico il rispetto e l’onore che merita.
   Carlo Pisacane fu un uomo di pensiero e d’azione, che sostenne la necessità (non solo di una rivoluzione indipendentistica e nazionale ma anche e soprattutto) di una rivoluzione democratica e popolare. Nato in una famiglia di nobile ascendenza, a tredici anni fu mandato al collegio militare della “Nunziatella” e crebbe così in un ambiente fra i più arretrati e reazionari d’Europa: il Regno delle Due Sicilie. Alla base della scelta di rompere con un simile ambiente vi fu l’amore di Carlo per Enrichetta di Lorenzo, costretta dalla famiglia a sposare un uomo ricco e volgare. Questo amore, che fu un elemento essenziale nella vita di Pisacane, spinse Enrichetta e Carlo a infrangere la soffocante tradizione e l’angusta moralità della loro classe e a fuggire da Napoli in Francia, mentre la polizia borbonica allertava le altre polizie contro l’ufficiale fuggiasco e la dama adùltera. Quando le rivoluzioni del febbraio e del marzo del 1848 scuotono tutta l’Europa, Carlo dà prova delle sue notevoli qualità militari, arruolandosi come volontario in Lombardia, dove, mentre organizza la difesa delle valli del Comasco, viene ferito. Al termine della sfortunata campagna, ripara prima a Lugano e poi in Piemonte. Quando Roma proclama la Repubblica (9 febbraio 1849), Pisacane vi accorre, ponendosi a disposizione di Mazzini. Sarà il capo di Stato Maggiore della Repubblica Romana e ne guiderà la resistenza. Caduta la repubblica, è di nuovo èsule in Isvizzera, a Lugano e a Losanna, dove egli e Mazzini vivono dando lezioni private. All’azione segue la riflessione e, in una serie di saggi che pubblica su di un giornale fondato da Mazzini (“L’Italia del Popolo”), Pisacane fa un bilancio critico della rivoluzione del 1848-49, esprimendo valutazioni sulla condotta della guerra spesso divergenti da quelle di Garibaldi.
   Il successivo soggiorno a Londra è fondamentale nella formazione teorica di Pisacane, perché gli consente di entrare in contatto con socialisti di tutti i paesi. Non si dimentichi che in quegli stessi anni Marx ed Engels, partendo dall’esperienza della rivoluzione parigina del ’48, ponevano le basi del socialismo scientifico. Pisacane comprende allora che alla radice della questione italiana vi è la necessità di una rivoluzione proletaria e di una eversione totale del diritto di proprietà. Ritorna perciò in Italia e si stabilisce a Genova, dove conduce studi rigorosi di storia ed economia ed elabora quell’opera imponente che sono i quattro volumi di “Saggi storici, politici e militari sull’Italia”.
   Nel 1856 si riavvicina a Mazzini, di cui condivide le speranze nelle potenzialità insurrezionali dell’Italia meridionale. Collabora quindi con i mazziniani per suscitare un’insurrezione nel Sud e decide, assieme a Rosolino Pilo, di organizzare una spedizione. Il 9 giugno del 1857 ventiquattro volontari votati alla morte, in massima parte popolani animati da un ardente amore per la libertà, si impadroniscono di una nave, la dirigono su Ponza, dove arruolano detenuti comuni e politici (i trecento “giovani e forti” della poesia di Luigi Mercantini), e sbarcano il 28 giugno a Sapri. Gli uomini di Pisacane avanzano in mezzo all’ostilità delle popolazioni; non pochi di essi, dopo un primo scontro con i Borbonici, si sbandano. Gruppi di contadini aizzati dall’ignoranza e dal fanatismo religioso, armati di croci, di forconi e di falci, assalgono i superstiti. Pisacane ordina di non aprire il fuoco su quella plebe italiana che è venuto a riscattare e che sarà un giorno, egli ne è certo, la creatrice della propria libertà. I suoi compagni muoiono massacrati intorno alla bandiera tricolore e, quando tutto è perduto, egli stesso si uccide (2 luglio 1857).
   Per molto tempo nelle scuole italiane si è volutamente ignorato il valore rivoluzionario del pensiero di Pisacane, riducendo la sua figura a quella di un martire dell’indipendenza. Ma Pisacane è una figura straordinaria di italiano che si libera dai condizionamenti di casta e di classe, così come dalle ideologie dei rivoluzionari borghesi del suo tempo; giunge ad una visione teorica dei conflitti di classe e della funzione del proletariato; precorrendo il suo tempo, concepisce ed attua un piano insurrezionale; muore, infine, combattendo per una causa che è quella della liberazione degli oppressi. E se volessimo indulgere anche noi ad una forma di attualizzazione, non avremmo alcun dubbio: Carlo Pisacane è, con la sua mescolanza di raziocinio positivo e di attivismo romantico, il Che Guevara del nostro Risorgimento.
Eros Barone

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